Opinioni & Commenti
Costi della politica, un sistema da ripensare completamente
Si discute da tempo della necessità di profonde riforme istituzionali, e in primo luogo si è predisposto il riordino delle province, che dovrebbe portare ad accorpamenti dei vecchi enti in nuove aree più vaste. Sono stati subito presentati ricorsi al Tar e alla Corte Costituzionale, sono iniziate roventi dispute. Ognuno, come prevedibile, tira l’acqua al suo mulino, nessuno vuole rinunciare al cadreghino, ma è necessario creare, anche in quest’ambito, le condizioni perché siano ridotti i costi della politica e della pubblica amministrazione a tutti i livelli. Solo adesso ci si accorge del fiume di danaro che viene gestito, praticamente senza controllo, a livello di partiti e di molte istituzioni locali. Occorre porre un rimedio al sistema vergognoso e incontrollato dello sperpero di fondi pubblici. Fino a quando i cittadini subiranno passivamente?
Anche la Cei ha condannato questa situazione. Quando ancora esistevano non dico i controlli prefettizi di secolare memoria, ma quelli dei Comitati regionali e delle Commissioni di controllo sugli atti delle Regioni, eliminati dalle leggi Bassanini e successive modifiche, in ossequio a un malinteso federalismo, si riusciva a porre argine, almeno per i casi più evidenti, agli sperperi, che adesso sono proliferati a dismisura, per fortuna non ovunque. Classifiche stilate dai giornali sulla base di dati ufficiali pongono, ad esempio, la Regione Toscana agli ultimi posti di questa non esaltante classifica, a debita distanza dalle regioni più spendaccione. Non a caso il presidente Enrico Rossi si è fatto promotore di una proposta di riduzione dei costi di funzionamento delle regioni, operando su finanziamenti, indennità e numero di consiglieri. È un punto di partenza apprezzabilissimo, ma occorre anche intervenire in un quadro più completo di riforme ordinamentali.
Sarebbe opportuno reintrodurre sistemi di controllo che possano dare anche agli stessi amministratori una migliore sicurezza sulla legittimità del loro operato. Forse non val la pena di creare nuovi organismi, ma di potenziare e fornire maggiori poteri a quelli già esistenti. Sono già attive, dislocate nelle regioni a statuto ordinario e speciale nonché nelle province autonome di Trento e di Bolzano, le sezioni della Corte dei Conti, che esercitano il controllo sulla gestione delle amministrazioni regionali e loro enti strumentali, ai fini del referto ai consigli regionali, nonché sulla gestione degli enti locali, dei loro enti strumentali, delle università e delle istituzioni pubbliche aventi sede nella Regione. Evidentemente, viste la magagne che si sono evidenziate in molte zone d’Italia, l’organico e i poteri di queste sezioni dovrebbero essere potenziati immediatamente, in modo che possano più efficacemente intervenire a tutela della legalità. A tal fine potrebbero essere utilmente coinvolti anche i prefetti, nello spirito di leale collaborazione istituzionale.
Il rafforzamento delle rete prefettizia sul territorio è un’opportunità che è stata segnalata anche dallo stesso Ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, quando nei giorni scorsi ha parlato della necessità di mettere «a fattor comune le esperienze acquisite per migliorare l’attività di prevenzione nella lotta alla corruzione e alle mafie».
Il Presidente Monti ha restituito al nostro Paese credibilità e un posto di rilievo nel consesso europeo e internazionale. Le varie manovre, disposte per far fronte alla delicata situazione in cui si è trovato il Paese, hanno costretto gli italiani, soprattutto ceto medio e pensionati, a tirare la cinghia, ma non hanno imposto analoghi sacrifici a banche, assicurazioni e alta finanza. Non sono state create le condizioni per la ripresa e la crescita da tutti auspicata, non è stato tagliato radicalmente il numero dei parlamentari, non sono stati razionalizzati i pletorici livelli di governo. Non sono stati ancora compiutamente realizzati quegli interventi che, nonostante le gravi, oggettive difficoltà, tutti si aspettavano da un esecutivo che agisce praticamente senza opposizioni, ispirato e sostenuto dal Presidente della Repubblica e da buona parte del Parlamento.
Quando la parola spetterà di nuovo ai cittadini elettori, da tempo esclusi da ogni scelta in merito alle candidature dei loro rappresentanti, speriamo che la situazione muti, anche se il comportamento di molte formazioni politiche non induce all’ottimismo. Negli ultimi vent’anni non c’è stato ricambio nella classe dirigente che non è riuscita, se non in minima parte, a far crescere giovani che potessero assicurare, con la collaborazione di personaggi più esperti, il rinnovamento necessario. L’unica novità registrata dalle cronache è stata la discesa in campo, in ambito nazionale, del Sindaco di Firenze.
Fra poco dovremo eleggere un nuovo Parlamento, ci saranno un nuovo Governo e un nuovo Presidente della Repubblica che dovrebbero gestire una nuova stagione della politica. Visti i risultati della seconda Repubblica, che cosa ci dobbiamo aspettare dalla terza? Mettendo da parte ogni ulteriore considerazione sui ripetuti scandali, prendiamo comunque atto che vecchi e nuovi protagonisti della politica si esibiscono ancora in polemiche sterili senza avanzare proposte concrete e non sono riusciti a mettersi d’accordo neppure per l’approvazione di una migliore legge elettorale e di una legge anticorruzione. L’Italia ha bisogno di un Governo politico che assicuri al Paese una guida stabile. Non vorremmo esser costretti ad affidare, direttamente o indirettamente, questo compito al Consesso europeo o a un’autorevole «Signora Merkel».
Occorre ripensare completamente il sistema, diminuire i costi della politica, non più sopportabili, a tutti i livelli, fissare regole restrittive al finanziamento pubblico di gruppi e partiti, diminuire radicalmente il numero dei parlamentari e dei componenti delle varie assemblee e organismi locali, ridefinire organizzazione, ambiti territoriali, competenze, funzionamento e controlli degli ambiti di governo territoriale. Sarà difficile arrivare a una soluzione di questo tipo se non ci sarà l’accordo fra tutte le forze politiche, che potrebbero, soltanto in questo modo, colmare l’evidente frattura fra cittadini e istituzioni e porre rimedio alla disaffezione generalizzata, che ormai ha ampiamente superato i livelli di guardia. L’astensionismo elettorale sempre crescente e il successo di movimenti che predicano l’antipolitica ce lo ricordano ampiamente.