Opinioni & Commenti

Così il «nero» danneggia un’economia già malata

di Andrea Drigani

«Nero» e «sommerso» sembrano essere i due aggettivi che rischiano di caratterizzare il nostro sistema economico, originando l’illusione che si vada meglio che da altre parti dell’Europa. Il nero, come si sa, è capace di assorbire tutte le radiazioni ottiche che riceve, in modo da non rimandarne alcuna che ecciti l’occhio e perciò é divenuto, tra gli altri, anche il simbolo ed il segno di operazioni svolte in modo più o meno nascosto allo scopo di non pagare le imposte e gli oneri sociali e di non sottostare, quindi, alle disposizioni di legge che tutelano il lavoro e disciplinano l’economia.

Questo «nero» non è una novità, certo è che negli ultimi tempi si è enormemente dilatato, sia perché vi è stato un forte oscuramento dell’idea di bene comune, sia perché il mito, proveniente dall’Oltreoceano, della «deregulation» (che sarebbe da tradursi con «sregolatezza») tendente a ridurre , se non a eliminare, le forme d’intervento pubblico nelle attività economiche, ha trovato, pure da noi, entusiastica accoglienza.

Già diversi anni fa Federico Caffè osservava che l’entità dei costi sociali non pagati è ben più rilevante degli intralci creati da forme, sia pure farraginose, di regolamentazione pubblica. Qualcuno pensa, sbagliando, che l’evasione o l’elusione fiscale portino ad un guadagno e risparmio, ma poiché tutto rimane nell’omertà e nel buio, nessuno, ne trae, alla fine, un vero e serio profitto. Gli analisti hanno definito, molto giustamente, questo fenomeno : «economia sommersa», come  se fosse un qualcosa interamente coperto dalle acque e dunque non visibile. Verrebbe da ricordare la storia del Titanic.

Si dice che un terzo del Pil (Prodotto interno lordo) è «sommerso». Questa ricchezza «nera», poiché nascosta, non è possibile ridistribuirla a vantaggio dei bisogni e delle urgenze della comunità, rimane solo per un interesse privato, anzi privatissimo. L’allargamento, a un numero sempre più consistente d’individui, di questo ricavo clandestino attenua, come un potente antidolorifico, gli effetti della crisi economica mondiale, ma non è la cura, e la gravità della situazione permane. Ancora una volta è bene rammentare il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, quando afferma, al n.355, che la raccolta fiscale e la spesa pubblica assumono un’importanza economica cruciale per ogni comunità politica e civile : l’obiettivo verso cui tendere è una finanza pubblica capace di proporsi come strumento di progresso e di solidarietà. Per questo lo Stato deve impostare una politica fiscale tenendo conto di quattro elementi fondamentali : il diritto dello Stato a riscuotere le tasse; il bisogno di una legge fiscale giusta; l’equità nell’uso dei fondi pubblici e ,come corollario, l’obbligo – non soltanto legale ma anche morale – dei cittadini di pagare le tasse. Il «sommerso» ed il «nero» sono, però, considerati inammissibili anche dalla migliore tradizione liberale.

Un’economia di mercato non può seriamente sussistere quando la concorrenza è pesantemente alterata da pagamenti o contabilità in «nero»; questi trucchi occulti, oltre che al fisco e alla sicurezza sociale, danneggiano assai il sistema delle imprese, creando non pochi problemi a quelle che operano nella legalità. L’economia sommersa rende il mercato sempre più fasullo e meno libero, favorendo l’illecito e impedendo un autentico sviluppo. Sarà possibile uscire da questa notte dell’economia? La strada è difficile, ma è una sola: quella della testimonianza e della formazione, un’altra sfida  educativa per la Chiesa.