Lettere in redazione

Cosa facciamo noi per i preti?

Caro Direttore,complimenti vivissimi a Leda Minocchi, autrice dell’intervento «Il prete che cerchiamo» (Toscanaoggi n. 45) ulteriormente arricchito dal contributo di mons. Porcinai (Toscanaoggi n. 3). Ha fotografato mirabilmente una realtà, ma mi chiedo e le chiedo: cosa facciamo noi per contribuire a rendere Dio credibile quando viene meno l’ausilio del prete?

Allora, coraggio: prima di ogni cosa devo «convertirmi» cibandomi della «Parola» poi, con l’aiuto dello Spirito Santo troverò certamente la forma per «convertire».

E come? Ogni cristiano deve, sottolineo, deve, far sue le 4 Costituzioni del Concilio Vaticano 2°. Quanti di noi ad oggi hanno provato a farlo? In particolare, in coscienza, possiamo affermare di aver adempiuto a quanto indicato dal Decreto sull’Apostolato dei Laici (Cap. 1° – 3/C) «a tutti i cristiani è “imposto” il nobile impegno di lavorare affinché il divino messaggio della salvezza sia conosciuto e accettato da tutti gli uomini».

Il mondo di oggi tende ad annullare ogni valore etico e intende far prevalere una effimera cultura che si alimenta di disvalori; gli esempi non mancano. Questo impone a noi cristiani testimonianze coraggiose e forti. In ogni luogo dove Dio ci ha posti dobbiamo far valere i nostri carismi, alimentati dalla Fede.Francesco CalcagniniSarzana – SP La sua lettera, caro Calcagnini, consente di sviluppare una riflessione, che ha interessato molti lettori, che non può però prescindere da una seria assunzione di responsabilità da parte nostra. Una volta presa coscienza delle difficoltà, anche serie, che oggi, più che nel passato, un sacerdote può incontrare, cosa facciamo noi laici, che crediamo nel valore grande del loro ministero? È doveroso chiederselo, perché troppo spesso anche i più «fedeli» muovono la lingua e chiudono il cuore, facendo mancare quella vicinanza affettuosa, e al tempo stesso non invadente, che sostiene e accompagna, assicurando, quando serve, anche quell’aiuto concreto che risolve i piccoli-grandi problemi quotidiani e attenua la solitudine, «la casa vuota», che segna oggi la vita di tanti nostri preti. In una parola dobbiamo amarli di più, soprattutto quando li sappiamo o li vediamo in difficoltà.C’è poi un altro aspetto che va ulteriormente richiamato. Il Concilio e il successivo Magistero insegnano che i Christifideles laici sono a pieno titolo «tralci dell’unica vite», il che comporta la partecipazione alla Chiesa comunione e la corresponsabilità alla sua missione. Testimoniare e diffondere il Vangelo non può quindi essere demandato ai soli sacerdoti, anzi animare cristianamente i vari ambienti di vita è compito proprio, anche se non esclusivo, dei laici.In quest’ottica è del tutto superata la visione del «laico utente» e del «prete tuttofare». Questa mentalità, ancora persistente, è, a mio parere, all’origine di tante sfasature che determinano difficoltà.