Vita Chiesa
Cosa c’è dietro i numeri del Tribunale ecclesiastico
di Riccardo Bigi
Il Tribunale Ecclesiastico non è il luogo dove si può annullare un matrimonio, o dove si concedono i divorzi cattolici. È, piuttosto, un luogo in cui si difende il matrimonio salvo dover riconoscere, a malincuore, che un matrimonio è nullo quando vengono portate le prove che ne dimostrano la non validità». Monsignor Gino Biagini, Vicario Giudiziale del Tribunale ecclesiastico regionale «Etrusco», racconta a Toscanaoggi le attività di questa istituzione. Nei giorni corsi, il Tribunale ha organizzato il consueto Dies annualis in cui si presentano dati e numeri sull’attività svolta: il nostro settimanale ne ha dato ampio resoconto la scorsa settimana (Diminuiscono i matrimoni, crescono gli «annullamenti»). Su questi numeri, però, monsignor Biagini vuole proporre alcune riflessioni, per aiutare a capire meglio cosa c’è dietro le cifre e per evitare fraintendimenti e pregiudizi che spesso gravano su questi argomenti.
«Intanto diciamo – spiega – che se è vero che le cause di prima istanza introdotte nel 2007 hanno visto un piccolo aumento rispetto all’anno precedente, in realtà se si guarda agli ultimi sei anni vediamo che ci sono oscillazioni, ma il dato rimane sostanzialmente stabile. Semmai è interessante – prosegue – andare a vedere le diocesi di provenienza delle cause: si nota che le diocesi della Toscana centro-meridionale hanno (pur tenendo conto della diversità di popolazione) numeri generalmente più bassi. Questo può dipendere in parte dalla maggiore distanza dal Tribunale, che può scoraggiare qualcuno, ma forse dipende anche da cause sociali e culturali».
Un altro dato su cui riflettere riguarda i «capi di nullità», ossia i motivi per cui viene introdotta una causa: «Il primo motivo è l’esclusione della prole: questo significa che, almeno per un certo periodo, ci sono stati motivi che hanno spinto uno dei due coniugi a non volere figli. Ovviamente siamo in un campo ben diverso rispetto a quella che si chiama la paternità e maternità responsabile, che per cause contingenti può anche spingere una coppia ad attendere un momento più favorevole. L’esclusione della prole può nascere da vari ragioni: la mancanza di fiducia verso il coniuge, il rifiuto di una assuzione di responsabilità… Per essere motivo di nullità del matrimonio però deve essere documentata e provata, attraverso una confessione del coniuge interessato oppure attraverso testimonianze circa cose che potrebbe aver detto o fatto».
Il secondo «capo di nullità» è l’esclusione dell’indissolubilità del matrimonio: anche qui, bisogna dimostrare che almeno uno dei due coniugi aveva, al momento del matrimonio, una «riserva mentale», non era del tutto convinto del fatto che il matrimonio fosse «per sempre», riteneva di potersi tenere sempre aperta la possibilità di «riprendersi la propria libertà». È interessante il fatto che, per le cause che provengono da altre regioni (Marche e Umbria) e che giungono al Tribunale di Firenze come Tribunale di seconda istanza, questi due «capi di nullità» sono in percentuale molto meno ricorrenti: «Un dato – sottolinea monsignor Biagini – che potrebbe farci riflettere sulle motivazioni sociali e culturali per cui, in Toscana, l’indissolubilità del matrimonio cristiano e l’apertura ai figli vengono più spesso messe in discussione».
Altri «capi di nullità» riguardano anomalie della personalità, come il «difetto di discrezione e di giudizio» o «l’incapacità ad assumere gli oneri matrimoniali»: in questi casi, il periodo che viene preso in considerazione è quello in cui i coniugi hanno maturato la scelta di sposarsi: si tratta di dimostrare che, almeno per uno di loro, il consenso non è avvenuto nella piena consapevolezza, ma era viziato da limiti e condizionamenti. «Si tratta – spiega monsignor Biagini – di capi di nullità introdotti con il nuovo Codice di Diritto Canonico: non perché la Chiesa sia diventata meno rigida, ma perché si è preso atto del fatto che le scienze umane hanno messo in luce aspetti della personalità umana che non erano evidenti, anche perché oggi siamo di fronte a una maggiore complessità e fragilità della vita interiore».
Un altro aspetto che monsignor Biagini sottolinea è quello economico: «Dobbiamo sfatare il pregiudizio secondo cui il Tribunale Ecclesiastico è il luogo a cui si rivolgono le persone ricche, o addirittura in cui si compra la nullità del matrimonio». Chi pensa di chiedere il riconoscimento della nullità del matrimonio può rivolgersi a un elenco di avvocati, indicati dal Tribunale, che hanno un dottorato in Diritto Canonico e l’abilitazione presso la Rota Romana. L’onorario varia, secondo tabelle prefissate, da 1.500 a 2.850 euro. Per i non abbienti però c’è il «gratuito patrocinio»: il Tribunale copre, del tutto o in parte, l’onorario. Da alcuni anni poi è possibile ricorrere (indipendentemente dalla propria situazione economica) ai «patroni stabili», avvocati assegnati gratuitamente dal Tribunale. I «patroni stabili» fanno anche un servizio di consulenza previa, ascoltano, danno consigli: lo stesso servizio viene svolto nelle diverse diocesi da sacerdoti appositamente incaricati.
All’avvocato che patrocina la causa, si contrappone il «difensore del vincolo», che cerca invece di far emergere, nel contraddittorio, le ragioni a favore della validità del matrimonio. Alla fine è il collegio dei giudici a emettere la sentenza. Le cause durano in media un anno e mezzo; il riconoscimento della nullità però prevede sempre due gradi di giudizio, per cui la causa viene passata a un secondo Tribunale per l’appello.
«Una cosa da sottolineare – conclude monsignor Biagini – è che non è detto che il sopravvenire di una crisi matrimoniale possa giustificare il riconoscimento della nullità di quel matrimonio: le crisi posso giungere per tanti motivi, e per cause successive; e alle crisi si può rispondere in tanti modi, anche con il perdono». Qual è allora il lavoro da fare perché le coppie non abbiano bisogno di arrivare al Tribunale Ecclesiastico? «Quello che le diocesi per fortuna in questi anni hanno già iniziato a fare: dare alle coppie una preparazione più approfondita, far rilevare in maniera chiara l’aspetto sacramentale del matrimonio che, per la Chiesa, non è un contratto tra due persone che si può facilmente sciogliere ma qualcosa in cui entrano la Grazia divina, l’impegno verso la comunità… Una preparazione migliore al matrimonio ovviamente non può escludere del tutto che esistano matrimoni nulli, ma potrebbe diminuire questa possibilità».