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Corte Strasburgo: sì ad adozione figlio del partner in coppie gay
L‘impossibilità di accesso all'adozione dei figli dei partner nelle coppie omosessuali «è discriminatoria rispetto a quanto avviene per le coppie eterosessuali non sposate». Lo ha stabilito questa mattina con una sentenza di Grande Chambre, pertanto definitiva, la Corte europea dei diritti dell'uomo, a seguito del ricorso presentato da una coppia di cittadine austriache alle quali i diversi gradi di tribunali nazionali avevano negato la possibilità che una delle due potesse adottare il figlio dell‘altra.
Secondo un comunicato diffuso a conclusione dell’udienza, i 17 giudici di Strasburgo hanno ritenuto a maggioranza che, nel trattamento delle ricorrenti rispetto alle coppie eterosessuali non sposate, vi sia stata da parte della giustizia austriaca «una violazione dell’art. 14 (divieto di discriminazione) e dell’art. 8, relativo al rispetto della vita familiare e privata, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo». Per la Corte «la differenza di trattamento tra le ricorrenti e le coppie eterosessuali non sposate» è «basata sull’orientamento sessuale» delle prime, e il Governo austriaco «non ha fornito ragioni convincenti a dimostrare che questa differenza di trattamento sia necessaria per la protezione della famiglia o degli interessi del bambino». I giudici hanno tuttavia concluso che «la Convenzione non obbliga gli Stati ad estendere il diritto di adozione cogenitoriale alla coppie non sposate». A fare ricorso a Strasburgo erano state due cittadine austriache, conviventi in una relazione omosessuale stabile, cui il tribunale nazionale aveva negato il diritto che una delle due potesse adottare il figlio dell’altra, nato nel 1995 da una relazione al di fuori del matrimonio.
«La possibilità di adozione alle coppie omosessuali, riconosciuta dai giudici di Strasburgo, opera soltanto per quegli ordinamenti che consentono l’adozione anche alle coppie non sposate, mentre in Italia ciò non è possibile, in quanto Codice civile e Costituzione italiana indicano con chiarezza che la diversità di sesso dei coniugi costituisce presupposto indispensabile del matrimonio e che solo a tale forma di unione il legislatore riconosce la possibilità di accedere all’adozione di bambini». A precisarlo è Alberto Gambino, ordinario di diritto civile e direttore del Dipartimento di scienze umane dell’Università europea di Roma, commentando la sentenza odierna. La Corte, conclude il giurista, conferma che «gli Stati non sono tenuti a riconoscere il diritto all’adozione dei figli dei partner alle coppie non sposate, ma laddove tale riconoscimento giuridico esista allora va esteso anche alle unioni omosessuali». Per Massimo Gandolfini, vicepresidente dell’associazione «Scienza & Vita», la sentenza di Strasburgo costituisce «una forma mascherata per far passare il diritto all’adozione tra coppie dello stesso sesso».
«Ancora una volta le sentenze della Corte di Strasburgo vanno a decostruire modelli antropologici fondamentali per la società e che sono radicati nella memoria e nel presente». Lo afferma Paola Ricci Sindoni, vicepresidente vicario dell’Associazione «Scienza & Vita», in merito alla sentenza odierna. «In questo momento particolare – ammonisce Ricci Sindoni -, in Italia si confondono le richieste degli adulti con i diritti dei bambini, buttando in pasto alla campagna elettorale argomenti complessi senza che vi sia un adeguato dibattito all’interno del Paese. Ristabiliamo un confronto sereno e privo di ideologie, restituendo alla società civile ciò che è della società civile e che viene prima delle sentenze dei Tribunali e delle diatribe parlamentari: un bambino ha bisogno di un padre e di una madre, senza interpolazioni surrettizie».