Italia

Corruzione: Eurispes, «il giudizio sull’Italia è fondato?» Cantone (Anac): «È grave e sistemica, anche se minore di quella percepita»

«La corruzione in Italia c’è, è grave, è sistemica,  è soprattutto presente negli appalti, anche se è minore di quella percepita. Se sminuiamo il fenomeno facciamo il gioco dei corrotti, se lo aggraviamo aumentiamo la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni, ma anche questo non fa che accrescere la corruzione perché si cercano scorciatoie per raggiungere i propri obiettivi». Lo ha affermato stamattina Raffaele Cantone, presidente nazionale dell’Anac, in occasione della presentazione a Roma, a Palazzo Altieri, della ricerca «La corruzione tra realtà e rappresentazione. Ovvero: come si può alterare la reputazione di un Paese», curata dal magistrato Giovanni Tartaglia Policini per Eurispes.

«Oggi – ha spiegato Cantone – non siamo alla corruzione stile Tangentopoli, con il pagamento di denaro. Perciò, bisogna capire come si sviluppa, quanto sia diffusa e dove sia la corruzione». A questo sta lavorando l’Anac, «con l’individuazione di indicatori validi», ha anticipato il suo presidente. Infatti, «gli indici di percezione non sono molto attendibili, perché, ad esempio, sono legati anche da chi viene intervistato, ma, al tempo stesso, il livello di percezione non va assolutamente sottovalutato, perché è pericolosa la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni».

«Dipingere un Paese come corrotto o anche più corrotto di quanto realmente non sia può avere effetti diretti e indiretti sull’economia. Per questo, la costruzione di indicatori validi ed efficaci a rappresentare i molteplici aspetti relativi al fenomeno «corruzione» integra il primo ed essenziale passo verso il controllo, la prevenzione e il contrasto. Senza misure accurate e affidabili non solo diventa difficile cogliere l’estensione e l’ordine di grandezza del fenomeno, ma anche indirizzare strategie di intervento istituzionale e politico di contrasto e repressione». Lo sottolinea la ricerca «La corruzione tra realtà e rappresentazione. Ovvero: come si può alterare la reputazione di un Paese», curata da Giovanni Tartaglia Polcini per l’Eurispes, presentata oggi a Roma. «L’econometria della corruzione» è alla base della ricerca, che «si è posta l’obiettivo di verificare la fondatezza del giudizio espresso nei confronti dell’Italia dai più comuni indicatori di natura percettiva diffusi sul piano globale».

Il nostro Paese, negli indici internazionali, «si colloca in posizioni molto più basse di quanto non meriterebbe il suo status di Paese democratico e di potenza mondiale, tra i primi dieci grandi Paesi al mondo per il Pil pro capite». L’Italia, in ambito Ocse, è il Paese con la più alta corruzione percepita (circa 90%) e con una fiducia nel Governo superiore al 30%, più alta di quella di Grecia, Portogallo, Spagna e Slovenia nonostante questi Paesi abbiano una percezione della corruzione inferiore a quella italiana (tra l’80% e il 90%). Qualcuno definisce questo fenomeno «sindrome del Botswana», inteso come tendenza ad accostare il nostro Paese a Stati difficilmente assimilabili all’Italia per livello di benessere e di ricchezza. Nell’ultima graduatoria di Transparency International, basata proprio su un indice di percezione, ricorda la ricerca, «risultiamo al 69° posto con l’85% degli italiani convinti che Istituzioni e politici siano corrotti. Ma, alla domanda specifica, posta a un campione di cittadini, se negli ultimi 12 mesi avessero vissuto, direttamente o tramite un membro della propria famiglia, un caso di corruzione, la risposta è stata negativa nella stragrande maggioranza dei casi, in linea con le altre nazioni sviluppate».

«Il sistema giuridico italiano ha alcune peculiarità ordinamentali che lo caratterizzano: l’autonomia del pubblico ministero, l’indipendenza della Magistratura in genere, l’obbligatorietà dell’azione penale, l’assoluta liberta di stampa in ordine alla pubblicazione anche delle notizie di reato fin dalle prime battute dell’indagine», ricorda la ricerca Eurispes. Nel nostro ordinamento, inoltre, «l’indipendenza assoluta dell’Autorità nazionale anticorruzione, che si è aggiunta sul piano preventivo a quella costituzionale della Magistratura, sul piano repressivo assicura una risposta significativa al fenomeno: le condizioni elencate devono, di conseguenza, essere considerate parametri decisivi per la misurazione della corruzione». Quello che si verifica in Italia, secondo la ricerca è il «Paradosso di Trocadero»: «Più si perseguono i fenomeni corruttivi sul piano della prevenzione e le fattispecie di reato sul piano della repressione, maggiore è la percezione del fenomeno». L’effetto distorsivo collegato a questo assunto «ha concorso a penalizzare soprattutto gli ordinamenti più attivi dal punto di vista della reazione alla corruzione in tutte le sue forme. Dalla distorsione si è passati al paradosso vero e proprio quando sono stati comparati ordinamenti, dal punto di vista della percezione della corruzione, senza tenere conto di quelle che erano le relative caratteristiche istituzionali e processual-penalistiche».

«Gli indici di misurazione della corruzione vengono distinti in due categorie: indicatori soggettivi (o percettivi) e indicatori oggettivi». «Gli indicatori soggettivi si fondano, per lo più – spiega lo studio -, su sondaggi basati su campioni estratti dalla popolazione di riferimento, oppure su indagini ad hoc condotte su esperti». Indicatori di questo tipo sono «il Corruption Perception Index elaborato da Transparency International, il Control of Corruption Index predisposto dalla Banca Mondiale, il Global Competitiveness Index proposto dal World Economic Forum e l’Eurobarometer elaborato dalla Commissione europea». Gli indicatori oggettivi di corruzione «sono basati ancora su indagini campionarie, sulla valutazione di proxy (per esempio, i valori osservati nel tempo nel rapporto tra spesa e capitale pubblico) ma anche su statistiche giudiziarie, sulle dichiarazioni dirette di chi ha ricevuto richiesta di pagare una tangente (indagini di vittimizzazione), su rilevazioni fattuali di scostamenti tra costi e output (missing expenditure) o, infine, su audit condotti presso le amministrazioni pubbliche». Gli indicatori di tipo oggettivo, in realtà, «possono generare una sottostima del fenomeno ogniqualvolta i crimini non vengono scoperti, denunciati e/o perseguiti». Inoltre, «gli indicatori di tipo giudiziario soffrono di un forte ritardo temporale rispetto al momento in cui il reato e stato commesso». Secondo la ricerca, «l’indice di percezione della corruzione è destinato a segnare il passo: si apre lo spazio doveroso e necessario per una econometria del diritto, per la giurimetrica della misurazione della corruzione, per una più realistica comparazione tra sistemi».

La prevenzione della corruzione postula la sussistenza di alcune condizioni fondamentali: tra esse, «la misurazione e la valutazione dell’entità del fenomeno. Emerge quindi la necessita di ridefinire una serie di indicatori accurati e condivisi sul piano internazionale, in grado di sostenere una comparazione dei dati fra Paesi affidabili sul piano ontologico ed utile sotto il profilo operativo/funzionale. Si deve dunque propendere per una ricerca di un indicatore composito».