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Corridoi umanitari: 51 siriani arrivati a Fiumicino dal Libano
Sono sbarcati stamattina a Roma, all'aeroporto di Fiumicino. Saranno accolti in Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana.
Sono fuggiti da due guerre, quindi sono profughi due volte. Prima dalla guerra in Siria e ora dal conflitto in Libano. Sono i 51 profughi siriani arrivati questa mattina con i corridoi umanitari all’aeroporto romano di Fiumicino. Altri 42 hanno transitato per Roma con destinazione Francia. Sono in maggioranza famiglie numerose o mamme sole con bambini che vivevano in alloggi precari a Beirut e Saida, nel sud del Libano, e nei campi profughi della Valle della Bekaa, zone interessate dalle operazioni militari nella guerra delle forze armate israeliane contro Hezbollah.
Molti sono cristiani, come la mamma con tre figli che ha una croce tatuata sul polso, come fosse un braccialetto. L’arrivo di oggi è stato reso possibile grazie ai corridoi umanitari promossi da Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e Tavola valdese, in accordo con il Ministeri dell’Interno e degli Affari Esteri. I nuclei familiari saranno accolti in Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Toscana e accompagnati nel percorso di integrazione, che prevede l’inserimento scolastico, l’apprendimento della lingua italiana e, una volta ottenuto lo status di rifugiato, l’inserimento nel mondo lavorativo. Secondo la Comunità di Sant’Egidio da febbraio 2016 ad oggi sono stati portati in salvo in Italia circa 3mila persone. In Europa oltre 7.700.
“Le vie legali e sicure sono la via migliore per combattere i trafficanti – ha affermato poi Daniele Garrone, presidente della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia -. Non bisogna pensare che i corridoi umanitari siano un atto caritatevole di anime pie. Sono una buona pratica e un buon esempio per tutti i Paesi democratici”.
Garrone ha anche annunciato l’intenzione di aprire un nuovo protocollo per i siriani in Libano. “Alludendo all’apertura dei centri di permanenza e rimpatrio in Albania voluti dal governo italiano Garrone ha osservato: “Pensiamo a tutto quello che potremmo fare con l’enorme quantità di denaro che spendiamo per tenere lontano i migranti. Al contrario i corridoi umanitari sono una politica umana all’altezza della Costituzione”. Pierfrancesco Sacco, del Ministero degli Affari esteri, si è detto “fiero perché la diplomazia italiana è volta a favorire la soluzione dei problemi e creare relazioni fruttuose tra popoli e Paesi”. La viceprefetto Carla Di Quattro, del Ministero dell’Interno e libertà civili, ha ammesso di commuoversi ogni volta che viene in aeroporto ad accogliere i profughi.
Le lacrime di Dalia parlano invece di ricordi dolorosi, sia in Siria, sia in Libano. E’ arrivata in Italia da sola con tre figli di 15, 6 e 2 anni. La figlia maggiore ha vissuto l’incubo della guerra in Siria e ricorda tutto. Il marito è ad Abu Dhabi. Ancora non sanno se riusciranno ad ottenere il ricongiungimento familiare. Il tatuaggio a forma di braccialetto con una croce rivela la sua appartenenza cristiana, mentre il bimbo più piccolo non fa altro che reclamare la mamma. Dalia ha vissuto in Libano due anni e mezzo, e non sono mancate le situazioni dure e le discriminazioni. “Un anno come madre da sola è come 100 anni”, dice piangendo: “Da quando è iniziato il conflitto in Libano ci svegliavamo con il rumore degli aerei. Vivevamo al settimo piano, tutta la casa tremava. Non sapevamo se uscire o no. Durante il tragitto fino all’aeroporto abbiamo avuto molta paura”. Per lei arrivare qui è “una rinascita, il sogno di una nuova vita”. “La cosa più importante – sottolinea – è che siamo in sicurezza. Sogno che i miei bambini possano avere un giorno un passaporto italiano”.
I due bambini di Samah, 32 anni, sgambettano curiosi tra gli adulti. Entrambi, maschio e femmina, amano il calcio: “I nostri idoli sono Cristiano Ronaldo e Lionel Messi, speriamo un giorno di poterli vedere dal vivo”. Samah e il marito sono fuggiti in Libano otto anni fa da Homs, in Siria. I figli sono nati in Libano, nella valle del Bekaa, ma non hanno frequentato le scuole. La mamma è laureata in materie umanistiche e spera di riuscire ad insegnare. Vedere in cielo i razzi israeliani per loro è stato un incubo: “Abbiamo avuto tanta paura. Cercavamo di mettere al riparo i figli ma non sapevamo dove andare. Siamo scappati da una guerra che ci ha distrutto psicologicamente e ora in Libano ne è iniziata un’altra. Siamo stanchi. Siamo andati avanti solo grazie alla speranza che prima o poi saremmo arrivati in Italia”.