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Convenzione contro tortura: mons. Tomasi, difendere il diritto alla vita

“La responsabilità della Santa Sede si esercita in due modi diversi. Il primo è attraverso la competenza esclusiva giuridico-legale che la Santa Sede ha sul territorio dello Stato della Città del Vaticano (Scv) e che esercita come ogni altro Governo.

Il secondo modo di esercitare la sua competenza è di carattere spirituale con una forma di autorità che si basa sulla missione specifica della Chiesa e coinvolge l’adesione volontaria dei fedeli ai principi della fede cattolica”. Lo spiega in un’intervista a Radio Vaticana l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu a Ginevra, monsignor Silvano Maria Tomasi, che guiderà la delegazione vaticana in occasione della presentazione del suo rapporto alla 52ª sessione del Comitato delle Nazioni Unite sulla Convenzione contro la tortura (Cat), in corso a Ginevra. “Gli Stati – precisa monsignor Tomasi – mantengono la giurisdizione propria ed esclusiva sui rispettivi cittadini di fede cattolica, per esempio nel caso questi commettano dei crimini. Per molti diventa difficile capire che l’esercizio dell’autorità spirituale è diverso per mezzi e principi dall’esercizio del potere politico e giudiziario. Siccome il Papa ha autorità su tutta la Chiesa si pensa che possa decidere sui comportamenti e quindi sulle punizioni che membri della Chiesa potrebbero meritare”.

In realtà, “il potere delle chiavi – chiarisce monsignor Tomasi – non è come il potere del mondo. I membri della Chiesa dispersi in tutto il mondo – sacerdoti, vescovi e fedeli laici – non sono cittadini della Città del Vaticano, ma cittadini dei Paesi in cui vivono, per cui hanno gli stessi diritti e doveri”. Parlando delle “letture diverse della Convenzione” che sono “molto possibili”, monsignor Tomasi evidenzia: “Nel contesto internazionale delle Nazioni Unite e della cultura pubblica internazionale ci troviamo su due fronti diversi a riguardo di alcuni valori fondamentali che dovrebbero reggere la convivenza sociale, per esempio la difesa del diritto alla vita e l’attenzione ai gruppi più vulnerabili della società”. Su questo punto, in particolare, “il contrasto di due culture diverse è evidente. Non c’è dubbio che i bambini lasciati morire soffrono una forma chiara di tortura”. Per esempio, “in Canada tra il 2000 e il 2011, 622 bambini nati vivi dopo un aborto sono stati lasciati morire come pure 66 nel Regno Unito nel 2005. Alcuni metodi di aborto ritardato costituiscono pure tortura specialmente nel caso detto ‘dilatation and evacuation’: il feto ancora vivo è smembrato per essere tirato fuori a pezzi dall’utero”. Come Santa Sede, conclude, “sosterremo quella visione della persona umana che deriva dalla nostra tradizione cristiana e dal suo realismo legato al diritto naturale”.