Vita Chiesa

Convegno economi diocesani, mons. Crociata: interrogarsi sul rapporto tra beni temporali e missione della Chiesa

 «La Costituzione conciliare Gaudium et spes afferma che ‘la Chiesa stessa si serve di beni temporali nella misura che la propria missione richiede’. Non c’è alcun dubbio che la Chiesa possa detenere dei beni temporali e che debba amministrarli in modo appropriato ed efficace, per la sua missione e nella misura in cui servono alla sua testimonianza di fede, speranza e carità». Lo ha detto questo pomeriggio ad Assisi, richiamando il magistero del Concilio Vaticano II in tema di proprietà della Chiesa, il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, intervenuto all’apertura dei lavori del convegno nazionale degli economi e direttori degli uffici amministrativi della diocesi italiane (lavori fino a mercoledì 27 febbraio). Il tema della relazione di mons. Crociata è stato «Chiesa e amministrazione dei beni temporali». Il segretario della Cei ha voluto anzitutto ricordare i fondamenti ecclesiologici circa il ruolo dei beni materiali nella vita della Chiesa stessa. «In quanto realtà anche umana e sociale, – ha affermato – la comunità ecclesiale vive nelle dinamiche proprie dell’esistenza umana, comprese le sue condizioni materiali». «La Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti – ha proseguito -, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino».

Proseguendo nella riflessione sul rapporto tra Chiesa e beni temporali, mons. Crociata ha rilevato che la gestione di questi beni «deve esprimere e servire quella comunione nella quale è costituito l’unico Popolo di Dio» in quanto, come insegna il Concilio, «nell’unica Chiesa le diverse parti sono tra loro unite da ‘vincoli di intima comunione circa i tesori spirituali, gli operai apostolici e gli aiuti materiali’». Un insegnamento, ha spiegato il segretario della Cei, che risale ai Padri della Chiesa e che si è poi sviluppato nel corso dei secoli, assumendo nei diversi contesti forme proprie diverse le une dalle altre. «Quando ci raduniamo a considerare i problemi dell’amministrazione dei beni temporali, in primo piano non è mai la necessità economica della Chiesa – ha affermato -, né le accuse che eventualmente le vengono rivolte o le esigenze di organizzazione dei suoi uffici e ministeri o, ancora, l’impatto delle leggi civili e tributarie sulla gestione dei beni. In gioco è sempre, e innanzi tutto, la coscienza che la Chiesa ha di se stessa nel rapporto con le cose e con le realtà temporali». A questo riguardo ha sottolineato che «occorre che ci sappiamo sempre interrogare sul rapporto tra queste e la natura indefettibile e la missione perenne della Chiesa: evangelizzare la Parola, testimoniare la carità, santificare gli uomini nel qui e ora dello spazio e del tempo».

Approfondendo la riflessione sul «ruolo degli economi e dei direttori degli uffici amministrativi», mons. Crociata ha sottolineato che esso «non può, quindi, configurarsi come un mero ausilio tecnico, utile per il raggiungimento di risultati economicamente soddisfacenti. Grazie al vostro aiuto, – ha detto – l’amministrazione dei beni ecclesiastici può corrispondere al criterio di competenza pastorale e tecnica, secondo l’auspicio formulato dal beato Giovanni Paolo II: ‘L’amministrazione economica della diocesi sia affidata a persone competenti oltre che oneste’». A questo riguardo, ha proseguito, «è importante la sana partecipazione, a livelli diversi e con differenti responsabilità, di collaboratori fedeli ed esperti. La complessità dei problemi richiede sempre più il dialogo e la convergenza di competenze e professionalità diverse. Non a caso, – ha concluso – il Concilio raccomanda ai sacerdoti di amministrare i beni ecclesiastici ‘a norma delle leggi, e possibilmente con l’aiuto di competenti laici’». Circa il sistema in vigore in Italia ha ricordato che con l’accordo del 1984 «la Chiesa rinunciava a forme di finanziamento automatico da parte dello Stato, quali la congrua e i fondi per l’edilizia di culto, e si rivolgeva senza complessi a tutti gli italiani, credenti e non credenti, chiedendo a tutti una ragionevole e generosa fiducia».