Lettere in redazione
Contro la guerra, ma con realismo
Caro direttore, vorrei dire da cattolico impegnato e praticante, che la presenza dell’Ordinariato militare e dei relativi cappellani militari sul campo delle missioni «di guerra» italiane nel mondo è il più grave scandalo della Chiesa cattolica nell’era moderna. Se in passato (vedi crociate e tutte le guerre combattute dai cristiani) vi era ancora la scusa di una cattiva interpretazione del Vangelo (e di tutta la Bibbia), oggi questo non può più valere: il cristiano credente non può mai accetare la guerra o l’uso delle armi e la presenza di ministri di Dio, con tanto di gradi militari, è assolutamente scandalosa e antievangelica. Stupisce, inoltre, che l’Ordinariato militare sia stato istituito proprio dal Papa santo Giovanni Paolo II, che tante volte si era scagliato contro le guerre e l’uso delle armi. Credo che ancora la Chiesa non abbia il coraggio di abbandonare la strada del potere e di fare l’unica scelta evangelica possibile: quella dei poveri e dei problemi reali della gente. Non ci sono altre strade possibili e le migliaia di martiri cristiani che muoiono ogni anno nel mondo rifiutando le armi e la violenza sono lì a testimoniarlo.
Carissimo Salvati, lei parla di un Papa santo e si stupisce che abbia istituto l’Ordinariato militare. Io prendo lo spunto per dirle che quando si parla di cappellani militari mi vengono in mente almeno altri due santi: don Giulio Facibeni e don Carlo Gnocchi. I tre santi in questione (Wojtyla, Facibeni e Gnocchi, «ufficializzati» o meno questo non ci interessa) non credo fossero dei guerrafondai e sicuramente avevano fatto «l’unica scelta evangelica possibile: quella dei poveri e dei problemi reali della gente». Personalmente non ho dubbi: il cristiano è e deve essere sempre contro la guerra. È la precarietà degli equilibri di questo mondo che non ci consente però di abbandonare del tutto le armi. Anche le cosiddette missioni «di pace», tipo Afghanistan, le uniche che possiamo accettare (quelle che lei chiama ugualmente «di guerra»), necessitano di armi. L’Ordinario militare, l’arcivescovo Vincenzo Pelvi, in uno dei tanti, troppi, funerali celebrati negli ultimi tempi, ha detto che «la pace, prima che traguardo, è cammino. E per giunta, cammino in salita. Vuol dire, allora, che ha le sue tabelle di marcia e i suoi ritmi, i suoi rallentamenti e le sue accelerazioni. Forse anche le sue soste». «La storia ha aggiunto sta cambiando attorno a noi. L’Italia deve rispondere alla propria vocazione di apertura agli altri, sapendo che questa è la prova di maggiore saggezza e realismo che possiamo dare…. L’Italia vuol fare la sua parte sostenendo altri popoli desiderosi di partecipare ai benefici dello sviluppo e conquistare spazi di libertà e democrazia. Un movimento così grande presenta dei rischi, può avere dei lati oscuri, non garantisce esiti positivi, ma per affrontarlo non si possono chiudere gli occhi, perché esso ha un segno che prevale sugli altri. Interi popoli emergono da una condizione di passività e subalternità storica, vogliono veder riconosciuti i propri diritti, partecipare a una più equa distribuzione delle risorse del pianeta. È avvenuto altre volte nella storia, e per questo motivo occorrono risposte positive per evitare che si affermino nuove forme di oppressione, fondamentalismo, discriminazioni civili e religiose». Infine, a proposito dei cappellani militari non possiamo dimenticare il loro ruolo di assistenza anche spirituale ai miltari: ruolo che diventa ancor più importante trattandosi spesso di ragazzi molto giovani.
Andrea Fagioli