Toscana

Contaminarsi con l’Italiano

Venerdì 14 maggio, presso la sala teatina del Centro internazionale studenti La Pira a Firenze è stato presentato il volume «Ci Siamo! Comunicare, interagire, contaminarsi con l’Italiano» scritto da Paolo Gabanini, Many Kazem Goudarzi, Edoardo Masciello e Alan Pona. Si tratta di un manuale rivolto a coloro che intendono apprendere la lingua italiana e li accompagna in un percorso/scoperta della lingua italiana  dalle fasi iniziali (livello A1 – A2) fino ai livelli di maggiore autonomia (B2 – C1), offrendo la preparazione adeguata per affrontare  gli esami previsti dalla certificazione di conoscenza della lingua italiana. Gli autori, pur provenendo da esperienze diverse si sono ritrovati in questo percorso di formazione che ha portato all’elaborazione del testo presentato, abbiamo intervistato Edoardo Masciello.

Nel suo precedente testo avevamo approfondito la figura del docente come facilitatore/ricercatore oggi siamo di fronte al nuovo testo che individua un metodo di insegnamento della lingua italiana a supporto dell’insegnante/facilitatore dove l’educazione è intesa come un processo e come relazione, da dove parte e dove vuole arrivare questa ricerca, quali sono i suoi obiettivi?

«Il verbo “educare” già ci indica la strada. In latino educare significa “tirar fuori”. La nostra attenzione deve essere rivolta , prima ancora che al contenuto, alla persona che abbiamo davanti. Lo dobbiamo coinvolgere nel suo processo di formazione, deve diventare protagonista delle nuove acquisizioni. Compito del facilitatore è proporre testi su cui lo studente, che è prima di tutto una persona, dopo averne compreso il contenuto comunicativo, farà delle osservazioni, formulerà ipotesi, proverà ad utilizzare le forme linguistiche osservate e andrà, infine, a fermare la regola grammaticale. Mi preme sottolineare che è necessario che lo studente/persona abbia il tempo di poter comprendere il messaggio, compito del facilitatore è accompagnare l’apprendente nella sua comprensione. Ma anche qui la comprensione deve essere “trovata” dallo studente attraverso una serie di ascolti o letture durante le quali metterà alla prova le proprie capacità intuitive facendo ricorso alle sue pre-conoscenze non solo linguistiche ma anche culturali. Per esperienze culturali si intendono le esperienze di vita che dovranno essere utilizzate come strumenti per scoprire il nuovo. Tra facilitatore e apprendente nascerà pertanto un dialogo di reciproca scoperta che porterà entrambi alla riformulazione della propria identità. Per usare un’ espressione di effetto è un percorso maieutico nel quale ad uscire “diverso” – contaminato come diciamo nel titolo – sarà sia l’apprendente che il facilitatore».

Il manuale con i suoi 29 input e 3 appendici e nella scelta dei testi si basa sulla linguistica acquisizionale vuole approfondire questo aspetto, e il perchè di questa scelta metodologica?

«Le ricerche di linguistica acquisizionale danno delle indicazioni sull’ ordine di riconoscimento (comprensione) delle strutture morfosintattiche. Programmare un percorso formativo che tenga conto di che cosa generalmente gli apprendenti scoprono come “prime regole” e cosa scoprono “successivamente” permette di rispettare le tappe naturali dell’acquisizione linguistica. Per acquisizione si intende memorizzare a lungo termine. Spesso succede che gli aspetti morfosintattici di una lingua vengono presentati seguendo un ordine di grammatica pensata per chi già conosce la lingua e non per chi ancora la deve scoprire. Ad esempio spesso e volentieri si propone all’attenzione degli apprendenti lo studio degli articoli quando di per sé non sono portatori di contenuto e in molte lingue o non esistono o non hanno tutta la problematica che c’è nella lingua italiana. Si rischia, non seguendo le indicazioni della linguistica acquisizionale, di proporre prima aspetti percepiti, vissuti o come non necessari dagli apprendenti o come troppo difficili. In realtà la difficoltà gliela creiamo noi!».

L’imparare la lingua come una crescita personale, frutto di un cammino e in particolare della relazione, la lingua come strumento vivo che  costruisce ponti e non divide, si tratta di un concetto puramente filosofico come sembrerebbe oppure realistico, di successo?

«Non è un cammino utopico, filosofico, bello da raccontare ma inefficace. L’esperienza di questi anni ci conferma che ogniqualvolta in cui si costruisce un rapporto interpersonale la lingua è usata come mezzo per conoscersi e quindi la si impara meglio, di più perché la si impara usandola non per attività fittizie ma per dare parole ad emozioni vive! Ecco perché prima abbiamo voluto usare il termine persona al posto di studente. In classe incontriamo persone. Sono occasioni di incontro da cui ognuno ha da imparare qualcosa. la lingua è il mezzo, e non più l’unico obiettivo. Si sta in classe perché abbiamo voglia di stare insieme. Sempre più ci accorgiamo di avere accanto delle persone che saranno i nostri vicini di casa, i genitori dei bambini con cui studieranno, giocheranno faranno sport i nostri figli».

Che fine fa l’insegnante, in questo percorso che sembra far prevalere il gruppo-classe?

«L’insegnante, che già da tempo abbiamo cominciato a indicare come facilitatore linguistico, è colui che, dandone l’esempio, cerca di far dialogare le persone che si trovano a condividere lo stesso spazio e lo stesso percorso formativo fatto da tante ore di vicinanza forzata. Uno dei compiti del facilitatore è proprio quello di invitare le persone che ha davanti a sé a non guardare soltanto se stessi e l’insegnante ma volgere la loro attenzione a chi hanno accanto ai compagni. Il facilitatore ha inoltre il dovere morale, prima ancora che contrattuale, di rendere comprensibile a tutti la lingua che viene portata in classe sia essa orale che scritta in un clima il più possibile rilassato in cui ciascuno si sente valorizzato per i propri talenti e non per le sue performance nella lingua oggetto di studio».Il percorso individuato è pensato per studenti stranieri dai 17 anni in poi, ma non crede che visti i risultati ottenuti dal Centro La Pira in questi anni si possa parlare di una metodologia applicabile a tutti coloro che per motivazioni diverse hanno difficoltà di apprendimento della lingua italiana, indipendentemente dall’età e dalla provenienza etnico/linguistica?

«Alla sua domanda mi hanno risposto i tanti insegnanti che ho avuto l’opportunità di incontrare in occasione dei percorsi formativi in glottodidattica che il nostro centro fa nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado. La metodologia che noi proponiamo è utilizzabile, con risultati più che positivi, con tutte le persone che hanno difficoltà di apprendimento, non necessariamente legate alla lingua italiana. Il fatto di valorizzare ciascuno per le sue potenzialità e sfruttare queste come risorsa consente di dimostrare a ciascuno che ha la possibilità di farcela e che protagonista del suo successo è lui stesso! Il facilitatore aiuta a trovare il proprio metodo di studio e le proprie strategie di acquisizione».