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Congo, la Chiesa «ultimo baluardo di speranza»

Don Jean de Dieu Kahongya Nduhi Ya Vusa, viceparroco a Chiusi-Scalo (diocesi di Montepulciano, provincia di Siena) è tornato dall’Africa. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la difficile situazione che sta attraversando in questo momento il suo paese

Don Jean de Dieu Kahongya Nduhi Ya Vusa, viceparroco a Chiusi-Scalo (diocesi di Montepulciano, provincia di Siena) è appena tornato dal Congo. Lo abbiamo incontrato nella canonica della parrocchia di santa Maria della Pace per farci raccontare la difficile situazione che sta attraversando in questo momento il suo paese.

Qual è la sua storia personale?

«Sono prete dal 1997 e vice-parroco a Chiusi dal 2008. Sono stato ordinato in Congo, ma sono venuto più volte in Italia per studiare alla Gregoriana e all’Angelicum. Ho iniziato il mio percorso vocazionale in una Congregazione religiosa, gli Agostiniani dell’Assunzione, ma poi ho scelto di essere sacerdote diocesano. Ho fatto anche il missionario in Tanzania dal 2003 al 2005, ma la mia strada mi ha portato in questa diocesi».

Che ruolo ha la Chiesa nel suo paese?

«In un momento così difficile di sofferenza e lacerazioni per il mio popolo la Chiesa cattolica è rimasto l’ultimo baluardo di speranza e di unione. Prima di tutto perché attraverso le Caritas locali cerca di alleviare le difficoltà della popolazione soprattutto quella più povera e quella in fuga. C’è bisogno di tutto dall’acqua, ai medicinali, al cibo. I sacerdoti, le suore e i laici cattolici cercano di fare il possibile per tutti senza sosta. In secondo luogo la gente sa che qualsiasi cosa possa accadere la Chiesa cattolica c’è anche a costo di gravi e grandi sacrifici. Spesso ci sono rapimenti. Ci sono state anche delle uccisioni, ma nonostante questo le porte delle chiese sono sempre aperte per cercare di dare un sollievo. Non è poco».

Il rapporto con il suo paese e la diocesi di Montepulciano-Chiusi- Pienza?

«Esiste una collaborazione pastorale tra la parrocchia di Chiusi e quella di – Maboya, nell’est del Congo, entrambe dedicate alla Regina della Pace. Ci sono stati numerosi scambi e diverse volte ci sono state delegazioni dall’Italia guidate dal vicario, Don Antonio Canestri. In oltre 20 anni di gemellaggio grazie all’impegno e alla solidarietà dei parrocchiani di Chiusi-Scalo e dell’Associazione Amici di Betlemme sono state costruite diverse strutture come scuole, l’ospedale e centri di aggregazione».

Che situazione ha trovato?

«La situazione del mio immenso paese non è facile. Pensate che dalla mia città Butembo alla capitale Kinshasa ci sono 2500 chilometri. Un altro mondo che spesso si trova troppo lontano da ogni attenzione. Inoltre, non abbiamo un sistema statale d’assistenza sanitaria e tantomeno l’accesso alla scuola. Una condizione veramente difficile. In tutto questo da anni assistiamo a una forte instabilità politica che ha portato a guerre e colpi di stato. Tutto questo con all’orizzonte lo zampino delle grandi potenze economiche mondiali che tendono a spostare il baricentro politico congolese a seconda delle convenienze economiche grazie anche a una diffusa corruzione. Il mio paese è ricco di materie prime che fanno gola a tanti. “A buon intenditore poche parole”. La maggior parte della popolazione vive con un dollaro al giorno, mentre una piccola élite viaggia con aerei privati e fa studiare propri figli in Europa».

I cristiani vivono momenti difficili?

«Sì. Secondo “Aiuto alla Chiesa che soffre”, dei 28 Paesi in cui i cristiani sono più perseguitati nel mondo, 13 sono africani e la Repubblica Democratica del Congo è al primo posto. È una situazione veramente tragica che vede i nostri fratelli e sorelle nella fede presi a tenaglia tra i ribelli islamici e quelli M23 con la quiescenza delle truppe dell’Onu senza dimenticare una forte presenza dei gruppi armati non tutti protagonisti della pace e dell’esercito congolese non tanto nazionalista. Sono all’ordine del giorno massacri di interi villaggi cristiani e nella migliore delle ipotesi in questo periodo della raccolta della pianta del cacao arrivano e derubano i contadini del raccolto e poi vanno via lasciando povertà su povertà. Di questa tragedia si parla veramente poco. L’unico faro per noi è papa Francesco che a più riprese ha denunciato questa situazione tragica e feroce allo stesso tempo. Il Pontefice in occasione del suo il suo 40º viaggio apostolico che nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan ha detto in maniera netta “Il continente africano non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare, ma ‘sorriso e speranza’ del pianeta. L’Africa è come un diamante, le sue facce sono numerose, riflette la luce, è preziosa. Deve esserlo anche agli occhi del mondo, le cui mani avide e bramose di potere e denaro hanno troppo a lungo soffocato, e dalle mani e dai cuori degli africani deve partire quel riscatto che metta al centro il vero sviluppo umano, una diplomazia dell’uomo per l’uomo” e ancora ha detto “ritirate le vostre mani dalla Repubblica democratica del Congo”. Francesco ha saputo interpretare la nostra situazione, ha saputo donarci una speranza di cui abbiamo tanto bisogno, soprattutto noi cristiani».