Lettere in redazione
Conflitto in Libia, quali alternative c’erano?
Vorrei esprimere il mio dissenso rispetto alle valutazioni un po’ univoche ed ideologiche sull’intervento in Libia (I cattolici e la guerra in Libia) che trovo espresse da tre lettori sull’ultimo numero di Toscana Oggi. Neppure io sono entusiasta di fronte ad un uso della violenza, che mi sembra comunque giustificato, in questo caso (come in occasione della guerra del Kosovo) dai crimini contro l’umanità compiuti da un dittatore.
Ci stiamo forse dimenticando delle migliaia di profughi che, respinti in seguito all’accordo machiavellico tra Berlusconi e Gheddafi (di fronte al quale il nostro premier si è inchinato in modo indecoroso), furono lasciati morire nel deserto dal dittatore libico? e dei civili che ha fatto uccidere dopo l’inizio della rivolta (come sta facendo ora anche Assad)? Anch’io nutro qualche perplessità circa la durata e le possibili conseguenze dell’intervento, ma credo che chi si oppone con tanto vigore ad un intervento che almeno nei fini vuole essere umanitario dovrebbe indicare una via alternativa concretamente praticabile per fermare i crimini commessi dagli uomini di Gheddafi, anziché limitarsi a proclamare in astratto la propria posizione. Ho l’impressione che ci sia una strana convergenza tra i pacifisti ad oltranza (che però di solito si muovono quando intervengono gli Stati occidentali) ed i sostenitori di una cinica realpolitik, assai numerosi non solo nella Lega ma nel Pdl (in sostanza, pensano, meglio sostenere un Gheddafi che teneva lontani i clandestini dalle nostre coste, chiudendo un occhio sui suoi crimini).
Vorrei ricordare che Bonhoeffer partecipò al complotto che avrebbe dovuto uccidere Hitler, in quanto riteneva che bisognasse comunque fermare un pazzo criminale che massacrava milioni di persone; e che un pacifista serio come Langer giustificò una qualche forma di «ingerenza umanitaria» di fronte alle stragi compiute dai serbi in Bosnia e Kosovo. Anche Gandhi, teorico della «resistenza passiva», disse che preferiva il rischio della violenza piuttosto che l’acquiescenza di fronte al prevalere dell’ingiustizia.
Per questo mi sarebbe piaciuto che chi si oppone oggi con tanta foga all’intervento in Libia si fosse mosso prima per contrastare i crimini di Gheddafi, organizzando manifeastazioni in piazza per costringerlo ad andarsene, così come se sono andati Ben Alì e Mubarak.
Cerchiamo sempre di favorire il dibattito tra i lettori su temi importanti come questi, senza demonizzare le posizioni. Ma la linea del settimanale credo sia chiara: le bombe non risolvono mai i problemi, anche quando le circostanze (e le omissioni) le rendono inevitabili. Da qui l’auspicio che tutti si sforzino per far cessare il prima possibile il conflitto, favorendo un futuro di pace (e di maggiore giustizia) per il popolo libico.
Claudio Turrini