Toscana
CONFLITTI DIMENTICATI: UN APPELLO DA ROMA, «AIUTATE L’UGANDA!» LE RICHIESTE AI GOVERNI
“Aiutate l’Uganda!” E’ un grido accorato quello che è stato lanciato questa mattina in Campidoglio, in un incontro organizzato dal settimanale “Vita”, dopo aver fatto scorrere su un video gigante le foto drammatiche dei bambini uccisi nel Nord Uganda, dove da 17 anni è in corso un conflitto che ha visto tra i 100.000 e i 130.000 morti, circa 25.000 bambini sequestrati dal Lord’s resistence army, i ribelli guidati da Joseph Kony, che tutti definiscono “un folle e un criminale”. Un conflitto che coinvolge, oltre ad 1.500.000 di persone della popolazione Acholi, anche altre etnie (per un totale di 2.300.000-2.400.000 di persone), di cui l’80% sono sfollati che vivono in campi profughi male attrezzati. E ogni notte decine di migliaia di bambini percorrono chilometri e chilometri per cercare rifugio presso ospedali e missioni e non essere rapiti dai ribelli. Ma una volta catturati, come raccontato da padre Giulio Albanese, direttore dell’agenzia Misna, “vengono sottoposti ad una specie di unzione per diventare bambini soldato, è una sorta di ipnosi collettiva per azzerare la loro volontà”. Padre Albanese ha lanciato una serie di appelli per cercare una soluzione a questo conflitto dimenticato: “chiedere al presidente ugandese Yoweri Museveni di intervenire con il suo esercito per garantire l’incolumità dei civili; al governo di Khartoum di consegnare alla giustizia internazionale Joseph Kony, che ha la sua residenza nel Sud Sudan; al governo italiano di fare pressione presso i governi dell’Uganda e del Sudan e presso le Nazioni Unite perché intervengano al più presto”. Dominique Corti, medico dell’ospedale diocesano “Fondazione Corti” ha spiegato che nella sua struttura lo scorso anno sono stati ricoverati 33.000 pazienti ed effettuate 211.000 visite: “il 60% sono bambini sotto i sei anni, perché dopo sono considerati adulti”. Anche Corti, raccontando insieme ad Alberto Piatti, direttore dell’ong Avsi, le difficoltà dei volontari a svolgere il proprio lavoro in situazioni così rischiose e con poche risorse, ha chiesto alla comunità internazionale “di fare pressione con un embargo per impedire che arrivino le armi”.