Sono diminuiti, nel corso degli ultimi dieci anni, i conflitti nel mondo (erano 24 all’inizio del 2008), ma aumentano quelli interni ai singoli Stati. Tutto ciò con poca attenzione dei media e scarso interesse da parte degli italiani. La povertà rende i Paesi più vulnerabili sia alle calamità naturali che ai conflitti bellici afferma la terza ricerca sui conflitti dimenticati intitolata Nell’occhio del ciclone, realizzata da Caritas italiana in collaborazione con Famiglia Cristiana e Il Regno, presentata oggi a Roma (il volume è edito da Il Mulino). Nel decennio 1990/2000, 17 dei 33 Paesi più poveri del mondo hanno subito guerre civili. Secondo le statistiche più attendibili, si stima la presenza di circa 300 gruppi armati attivi (guerriglie, milizie ed entità paramilitari), con scopi politici o ideologici riconosciuti. Le situazioni di conflitto ed emergenza umanitaria si fanno sempre più complesse, denuncia la ricerca, e spesso si combinano disastri naturali, violenza e guerra. I conflitti per l’acqua e per il petrolio ne sono un esempio eclatante, come avviene in Niger, Mauritania, Mali, Etiopia. Vi sono poi le lotte per i diamanti in Angola e Sierra Leone, il traffico di cocaina in Colombia e il mercato dell’oppio in Afghanistan.Le vittime dei conflitti, rileva la ricerca della Caritas, sono soprattutto i civili: 573.000 dal 1994 al 2004, soprattutto a causa di forze governative, con un aumento del 500% delle vittime imputabili a terrorismo tra il 1998 (erano 2.346) e il 2006 (12.065). Un picco registrato negli anni successivi all’11 settembre: dal 2004 al 2006 si è passati da 4.911 a 20.840 morti (con un aumento del 400%). A partire dal 2006 – evidenziano i curatori del volume -, un certo calo di consensi verso i network del terrore, soprattutto quelli che si coalizzano attorno a Osama in Laden, ha determinato una diminuzione nel numero delle vittime. Ma il dato più eclatante è l’aumento a dismisura (del 900% dagli anni ’60 ad oggi) delle vittime di catastrofi naturali, a causa delle peggiorate condizioni di vita della metà più povera della popolazione mondiale. Nel 2007 si sono verificati 950 disastri naturali, soprattutto in Asia, il numero più elevato mai registrato, con danni per 70 miliardi di dollari. La ricerca registra anche, nel mondo, l’aumento di 12 miliardi di dollari negli aiuti allo sviluppo, anche se più del 60% sono aiuti fantasma, ossia sprechi o errori di consegna o riciclaggio. Siamo però ancora allo 0,28% del Pil, ben lontani dall’obiettivo dello 0,7%. L’Italia è addirittura allo 0.19%.La ricerca Caritas ha anche realizzato un sondaggio sulla popolazione italiana, da cui si apprende che il 20% degli italiani non è in grado di indicare alcun conflitto armato del pianeta degli ultimi cinque anni. Vengono rimosse guerre come quella dell’Iraq, dell’Afghanistan, della Palestina/Israele. Rispetto alla stessa rilevazione effettuata nel 2004, la percentuale di oblio aumenta di ben tre punti. Le nuove generazioni sono quelle meno informate: il 30% dei giovani non ricorda alcuna guerra. Sul versante ambientale, il 33% degli italiani ricorda lo tsunami di fine 2004, ma appena 23 italiani su 100 indicano tra i disastri il terremoto in Cina (maggio 2008), che ha provocato una vera e propria ecatombe. Radio, tv, periodici on line. Le notizie sui tre conflitti/disastri dimenticati (Sudan, Pakistan, Colombia), corrispondono allo 0,3% di tutte le trasmissioni radio-televisive trasmesse in Italia dal luglio 2004 al dicembre 2007. Le situazioni più note (tsunami, uragano Katrina) raggiungono lo 0,6%. Anche su otto periodici settimanali internazionali pubblicati on line e altrettante testate di informazione giornalistica internazionale la ricerca constata una sostanziale rimozione dei conflitti dimenticati dall’agenda setting, soprattutto quando non ci sono eventi di richiamo che tirano in ballo le potenze occidentali e quelle emergenti asiatiche.Sir