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Conferenza stampa sul volo di ritorno dal Bangladesh
Ieri sera, durante il volo che da Dacca a Roma lo riportava a Roma, al termine del Viaggio Apostolico in Myanmar e in Bangladesh, il Santo Padre Francesco ha incontrato i giornalisti a bordo dell’aereo in una conferenza stampa, la cui trascrizione riportiamo di seguito:
La crisis de los rohingya ha centrado gran parte de este viaje a Asia. Ayer les nombró por su nombre finalmente, en Bangladés. ¿Se ha quedado con las ganas de haber hecho lo mismo en Myanmar, de haberles nombrado con esta palabra, rohingya? ¿Y qué sintió ayer cuando les pidió perdón?
Lei mi chiede cosa ho sentito ieri. Questo non era programmato, così. Io sapevo che avrei incontrato i rohingya. Non sapevo né dove né come, ma questo era condizione del viaggio, per me, e si preparavano i modi. Dopo tante gestioni, anche con il governo, con la Caritas, il governo ha permesso il viaggio di questi che sono venuti ieri. Perché è avvenuto tramite il governo, che li protegge e dà loro ospitalità, e questo è grande: quello che fa il Bangladesh per loro è grande, è un esempio di accoglienza. Un Paese piccolo, povero, che ha ricevuto 700 mila profughi… Penso a Paesi che chiudono le porte… Dobbiamo essere grati per l’esempio che ci hanno dato. Il governo deve muoversi per i rapporti internazionali con il Myanmar con permessi, dialogo… Perché sono in campi per rifugiati, una condizione speciale. Ma alla fine sono venuti. Erano spaventati, non sapevano… Qualcuno aveva detto loro: “Voi salutate il Papa, non dite nulla” – qualcuno che non era del governo del Bangladesh – gente che si occupava dei contatti… A un certo punto, dopo il dialogo interreligioso, la preghiera interreligiosa, questo ha preparato il cuore di tutti noi, eravamo religiosamente molto aperti. Io, almeno, mi sentivo così. Ed è arrivato il momento che loro venissero per salutarmi. In fila indiana – quello non mi è piaciuto, uno dopo l’altro –; ma subito volevano cacciarli via dal palco. E io lì mi sono arrabbiato e ho sgridato un po’ – sono peccatore – e ho detto tante volte la parola “rispetto”, rispetto. Ho fermato la cosa, e loro sono rimasti lì. Poi, dopo averli ascoltati a uno a uno con l’interprete che parlava la loro lingua, io cominciai a sentire qualcosa dentro: “Ma io non posso lasciarli andare senza dire una parola”, e ho chiesto il microfono. E ho incominciato a parlare… Non ricordo cosa ho detto. So che a un certo punto ho chiesto perdono. Credo due volte, non ricordo. Ma la sua domanda è “cosa ho sentito”: in quel momento, io piangevo. Facevo in modo che non si vedesse. Loro piangevano, pure. E poi, ho pensato che eravamo in un incontro interreligioso, mentre i leader delle altre tradizioni religiose erano lontani. [Allora ho detto:] “No, venite anche voi: questi sono i rohingya di tutti noi”. E loro hanno salutato. Non sapevo cosa dire di più perché li guardavo, salutavo… E ho pensato: “Tutti noi abbiamo parlato, i leader religiosi. Ma uno di voi, che faccia una preghiera, uno del vostro gruppo…”. E credo che fosse un imam, un “chierico” della loro religione, che ha fatto quella preghiera, e anche loro hanno pregato lì, con noi. E, visto tutto il trascorso, tutto il cammino, io ho sentito che il messaggio era arrivato. Non so se ho soddisfatto la sua domanda. Una parte era programmata ma la gran parte è uscita spontaneamente. Poi, oggi c’è stato – mi hanno detto – un programma fatto da uno di voi – non so se è qui o non è qui – il TG1: è un programma lungo, lungo… chi l’ha fatto, Lei lo sa?
Cosa è cambiato? E’ cambiata la irrazionalità. A me viene in mente l’Enciclica “Laudato si’”, la custodia del creato, della creazione. Dal tempo in cui Papa San Giovanni Paolo II ha detto questo a oggi sono passati tanti anni… Quanti? Tu hai la data?
Il viaggio in Cina non è in preparazione, state tranquilli, per il momento non è in preparazione. Ma tornando dalla Corea, quando mi hanno detto che stavamo sorvolando il territorio cinese, e se volevo dire qualcosa, [dissi] che mi sarebbe piaciuto tanto visitare la Cina. Mi piacerebbe, non è una cosa nascosta. Le trattative con la Cina sono di alto livello culturale: oggi, per esempio, in questi giorni, c’è una mostra dei Musei Vaticani in Cina, poi ce ne sarà una – o ce n’è stata una, non so – dei Musei cinesi in Vaticano… I rapporti culturali, scientifici, i professori, preti che insegnano all’Università statale cinese, ce ne sono… Questa è una cosa. Poi c’è il dialogo politico, soprattutto per la Chiesa cinese, con quella storia della Chiesa patriottica e della Chiesa clandestina, che si deve andare passo passo, con delicatezza, come si sta facendo. Lentamente. Credo che in questi giorni, oggi o domani, incomincerà una seduta a Pechino della Commissione mista. E questo, con pazienza. Ma le porte del cuore sono aperte. E credo che farà bene a tutti, un viaggio in Cina. A me piacerebbe farlo…
Vi ringrazio, perché mi dicono che è passato il tempo. Ringrazio per le domande, ringrazio per tutto quello che avete fatto.
E cosa pensa il Papa del suo viaggio? A me il viaggio fa bene quando riesco a incontrare il popolo del Paese, il popolo di Dio. Quando riesco a parlare o a incontrarli o a salutarli: incontri con la gente. Abbiamo parlato degli incontri con i politici… Sì, è vero, si deve fare; con i preti, con i vescovi… ma con la gente, questo, il popolo. Il popolo che è proprio il profondo di un Paese. Il popolo. E quando trovo questo, quando riesco a trovarlo, allora sono felice. Vi ringrazio tanto del vostro aiuto: grazie tante.
E grazie anche per le domande, per le cose che ho imparato dalle vostre domande. Grazie. Buona cena.