La Santa Sede non è legata a nessuna posizione politica di carattere immediato, va direttamente al cuore del problema, che è un problema umano di grande importanza. Così mons. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, spiega alla Radio Vaticana il perché della partecipazione della Santa Sede alla seconda Conferenza delle Nazioni Unite sul razzismo, la discriminazione razziale e la xenofobia, aperta questa mattina a Ginevra, otto anni dopo la prima svoltasi a Durban in Sud Africa. La dignità di ogni persona deve essere valorizzata e rispettata afferma mons. Tomasi . Non si può accettare che ci siano delle categorie di persone che vengano considerate inferiori o di minor valore per ragioni di razza o di appartenenza etnica o di confessione religiosa. È importante che tutte le persone indistintamente siano protette e rispettate. Questo è il motivo di fondo che spinge la Santa Sede ad esser presente come ha detto il Santo Padre nel Regina Coeli di ieri. Quindi, aggiunge l’osservatore permanente, noi ci muoviamo su questa direttiva che ci è stata indicata dal Santo Padre e camminiamo per migliorare la situazione, dialogando, invece che utilizzare metodi più aggressivi, che non creerebbero un dialogo sereno. Dal punto di vista della Santa Sede dice mons. Tomasi noi guardiamo anzitutto alla sostanza di questa Conferenza e, cioè, che in questo momento ci sono delle forme nuove di razzismo, che si manifestano in discriminazioni verso gruppi emigrati, verso comunità indigene, verso gruppi che sono economicamente emarginati. E, quindi, si vede la necessità di rinnovare, come propongono le Nazioni Unite, uno sforzo comune della Comunità internazionale per combattere il razzismo in tutte le sue manifestazioni. Per mons. Tomasi, il primo punto di partenza è che si tratta di una questione etica, cioè che non si può violare la dignità di nessuna persona, tutte le persone sono figli di Dio, di uguale valore. Davanti a questa necessità, la presenza nei negoziati e nella Conferenza stessa, ci pare una necessità al giorno d’oggi, appunto per facilitare questo cammino della comunità internazionale nel trovare nuove forme per combattere le discriminazioni. L’osservatore permanente della Santa Sede sottolinea che l’assenza di alcuni Paesi crea un po’ di disagio, nel senso che non si capisce bene, dopo che l’ultimo documento del negoziato che sarà il testo su cui questa Conferenza si baserà per approvare le sue conclusioni ha eliminato i punti che erano stati sollevati come di disaccordo.Mons. Tomasi cita la questione dell’antisemitismo: nell’ultimo documento viene riaffermato che bisogna combattere ogni forma di antisemitismo, di islamofobia e di cristianofobia. Si fa una menzione esplicita dell’Olocausto, che non si deve dimenticare, si fa poi una riformulazione del diritto alla libertà di espressione in maniera molto chiara, cioè dicendo che l’esercizio al diritto della libertà di espressione deve essere sostenuto e mantenuto. Certo, aggiunge, il primo paragrafo dell’ultimo documento riafferma la dichiarazione e il programma di azione della prima Conferenza di Durban del 2001. È, però, la prassi normale delle Nazioni Unite di fare conferenze di esame per vedere come sono stati applicati i programmi e le decisioni prese nella prima Conferenza. Perciò, non si poteva fare a meno di fare riferimento a questo documento, che era stato del resto approvato da tutti i Paesi che avevano partecipato a Durban. In questo momento, conclude mons. Tomasi, la Conferenza è cominciata con una certa serenità. Ha parlato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che ha deplorato l’assenza di alcuni Paesi, citando il presidente americano Roosvelt che diceva che è meglio essere nell’arena a combattere che essere assenti. Davanti a questo svolgimento io ho fiducia che si continui su questo cammino e che non ci siano delle occasioni di disturbo.Sir