Prato

Concubini, il commento di Basilio Petrà: «un episodio lontano, non solo nel tempo»

Sessant’anni fa, il primo marzo 1958, il vescovo Pietro Fiordelli, primo vescovo residenziale di Prato, fu condannato in primo grado dal Tribunale di Firenze al pagamento delle spese processuali, al risarcimento dei danni e a 40.000 lire di multa per avere diffamato i coniugi Mauro Bellandi e Lorena Nunziati, chiamandoli «pubblici peccatori» e «pubblici concubini». Il 25 ottobre successivo, in appello, mons. Fiordelli venne assolto.La vicenda è ben nota, a Prato e non soltanto a Prato. Ebbe infatti un’eco vastissima, suscitò innumerevoli interventi, diventò parte del confronto ideologico e politico che in quel momento divideva l’Italia.Ci si è spesso chiesti quale significato attribuire a questo avvenimento, al di là dei suoi aspetti contingenti e del clamore del momento. Una prima interpretazione di esso la fornì subito lo stesso Fiordelli il giorno dopo la condanna, parlando in duomo: «Ieri sera, quando seppi della sentenza, ebbi un sentimento di superbia di cui ho già chiesto perdono a Dio. Mi sentii cioè vicino ai sacerdoti e laici che al di là della Cortina di ferro vengono quotidianamente trascinati a pene orribili». Il giovanissimo vescovo vedeva nella propria condanna un attacco persecutorio sostanzialmente identico a quello che il comunismo stava portando avanti contro i credenti in Europa orientale. Altri vi hanno visto uno dei momenti culminanti del conflitto tra potere ecclesiastico e autonomia dello Stato unitario italiano, o ancora tra reazione e modernità, tra confessionalismo e laicità. Per qualcuno, è stato un segno clamoroso del tentativo ecclesiastico di opporsi alla secolarizzazione della sessualità e della famiglia nella società italiana, un tentativo eroico – ma inutile e anacronistico – di difendere la visione tradizionale della famiglia.Interpretazioni varie che in parte illuminano, in parte rendono più complessa la comprensione di quel che davvero accadde. Quello che si può dire con certezza è che tutto l’episodio appare oggi lontanissimo, quasi incredibile.Proviamo a rileggere insieme le prime parole della Notificazione che mons. Fiordelli volle venisse letta nella Chiesa di S. Maria del Soccorso il 12 agosto 1956: «Pertanto Lei, sg. Preposto, alla luce della morale cristiana e delle leggi della Chiesa, classificherà i due tra i pubblici concubini e a norma dei canoni 855 e 2357 del Codice di Diritto Canonico, considererà a tutti gli effetti il signor Bellandi Mauro come pubblico peccatore e la sig.na Nunziati Loriana come pubblica peccatrice. Saranno loro negati tutti i sacramenti, non sarà benedetta la loro casa, non potranno essere accettati come padrini a battesimi e cresime, sarà loro negato il funerale religioso».Esse ci collocano subito in un universo ormai estraneo, quello cioè di una Chiesa che si pensa e agisce come una società perfetta, dotata di proprio diritto, uno Stato nello Stato, retto da ministri dotati anche di potere penale per difendere il buon ordine interno.

Al di là della sincerità apostolica e della passione per il Vangelo che animava mons. Fiordelli, come sa bene chi lo ha conosciuto, queste parole non lasciano davvero emergere lo spirito evangelico della misericordia, ma piuttosto appunto l’autorità sanzionatoria nei confronti di fedeli non obbedienti alle norme ecclesiastiche, un’autorità che peraltro colpisce non solo i coniugi ma anche i loro genitori: «poiché risulta all’Autorità Ecclesiastica che i genitori hanno gravemente mancato ai propri doveri di genitori cristiani, permettendo questo passo immensamente peccaminoso e scandaloso, la Signoria Vostra in occasione della Pasqua negherà l’Acqua Santa alla famiglia Bellandi e ai genitori della Nunziati Loriana».

Il giovane mons. Fiordelli voleva difendere la cittadella, rafforzare le mura della famiglia cristiana contro gli attacchi dei nemici. Un fine nobile, che lo condurrà poi a scelte pastorali innovative e a dare un contributo preziosissimo alla teologia conciliare della famiglia.

In quel momento però – momento di aspri confronti – pensava che fosse necessario usare le armi dell’autorità e della sanzione contro una situazione che vedeva due suoi fedeli precipitare nel baratro di un peccato gravissimo: «Oggi, domenica 12 agosto, due suoi parrocchiani celebrano le nozze in Comune, rifiutando il matrimonio religioso. L’autorità ecclesiastica ha fatto ogni sforzo per impedire il gravissimo peccato. Questo gesto di aperto, sprezzante ripudio della religione è motivo di immenso dolore per i sacerdoti e per i fedeli. Il matrimonio cosiddetto civile, per due battezzati, assolutamente non è matrimonio ma soltanto inizio di uno scandaloso concubinato».Basta prender in mano qualche passo dell’Esortazione apostolica, Amoris laetitia, per renderci conto di quanto le surricordate parole appaiano oggi lontane, espressive di un altro mondo, di una Chiesa ben diversa da quella di papa Francesco, che non condanna ma che si china sulle situazioni per accompagnarle sulle vie possibili del bene. Un solo passo può essere sufficiente: «I Padri (sinodali) hanno anche considerato la situazione particolare di un matrimonio solo civile o, fatte salve le differenze, persino di una semplice convivenza in cui, “quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove, può essere vista come un’occasione da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio”. […] Ai Pastori compete non solo la promozione del matrimonio cristiano, ma anche “il discernimento pastorale delle situazioni di tanti che non vivono più questa realtà”, per “entrare in dialogo pastorale con tali persone al fine di evidenziare gli elementi della loro vita che possono condurre a una maggiore apertura al Vangelo del matrimonio nella sua pienezza”. Nel discernimento pastorale conviene “identificare elementi che possono favorire l’evangelizzazione e la crescita umana e spirituale”» (AL,293).