di Gianni RossiSe n’è andata in silenzio Loriana Nunziati. Una leucemia fulminante se l’è portata via in pochissimi giorni. Per una singolare coincidenza, la morte è sopraggiunta il 12 agosto di quest’anno, lo stesso giorno del suo matrimonio, avvenuto 51 anni prima. Un matrimonio che, nel secolo scorso, fece scalpore come pochi altri. Quello dei «concubini di Prato», come la cronaca e poi la storia ricordano Loriana e il marito Mauro Bellandi.Con la Nunziati se ne sono andati i ricordi e molte delle verità di quei fatti. Amava poco parlarne, anche a suo figlio Lelio. Il 12 agosto 1956 Loriana e Mauro si sposarono civilmente. Un fatto, per quell’epoca, dirompente. Lui militante comunista, lei di una famiglia anticomunista.Due anni fa Loriana accettò di ricordare con noi quei fatti: «Io ero cattolica, anche se non molto praticante, come invece si è a lungo sostenuto. Accettai di sposarci in Comune per amore di mio marito, che era un acceso attivista comunista. Forse non ero nemmeno del tutto consapevole del significato di quella scelta». Allora i matrimoni civili erano più unici che rari. Nello stesso giorno il parroco degli sposi, don Danilo Aiazzi, lesse nella chiesa di S. Maria del Soccorso una notificazione del Vescovo Fiordelli, dove, ricordando che l’unico matrimonio possibile per due battezzati è quello sacramentale, dichiarava di dover considerare i due sposi, «a norma dei sacri canoni», «pubblici concubini e pubblici peccatori». La notifica, che utilizzava la terminologia canonica, provocò la querela da parte dei due sposi, per il reato di diffamazione, anche per la sua avvenuta pubblicazione sul bollettino parrocchiale. Da questi fatti sarebbe sorto uno dei casi giudiziari politico-religiosi più importanti e controversi della storia italiana, quasi paradigmatico dello scontro frontale tra il comunismo e la Chiesa. Nell’ottobre dell’anno successivo mons. Fiordelli e don Aiazzi furono rinviati a giudizio. Il primo marzo 1958 il Vescovo di Prato fu condannato. La notizia di un Vescovo condannato da un Tribunale penale fece il giro del mondo. Giovanni Spadolini dirà poi che, dopo la breccia di Porta Pia, fu la più grave crisi tra lo Stato italiano e la S. Sede. Pochi mesi dopo, il 25 ottobre, mons. Fiordelli fu assolto in Appello con formula piena.Quei fatti vengono ora rievocati al teatro «La Baracca» di via Frosini a Casale. La regista Maila Ermini, che già mise in scena la vicenda dei «Celestini», porta sul suo palcoscenico «Dramma intorno ai concubini di Prato»; lo spettacolo è in programma questo fine settimana e il prossimo. Secondo le note di presentazione dello spettacolo, dopo aver querelato il Vescovo, «Mauro Bellandi si trovò isolato da tutti e non ricevette più prestiti dalle banche; commerciante, fu costretto a chiudere la sua attività; per la tensione a cui lo sottopose lo scandalo – il fatto ebbe risonanza non solo nazionale – si ammalò gravemente. Come la moglie Loriana, visse – conclude la presentazione dello spettacolo – tristi vicende e in qualche modo fu costretto all’esilio». Con la chiosa: «Una storia che crediamo attuale». Un teatro militante quello della Ermini, e che non fa mistero di esserlo. Sono le sue ricostruzioni dei fatti ad apparire però – stando alla presentazione fornita alla stampa – opinabili e perlopiù infondate.Nessuno storico ha ancora compiutamente ricostruito quelle vicende, ma al di là della violenta polemica politica di quegli anni, dalle cronache del tempo e dalla testimonianza di Loriana e del figlio Lelio, è possibile ricostruire con precisione i fatti. «I mei genitori – ci dice Lelio Bellandi, disponibilissimo a riandare ai racconti della mamma – si trovarono subito coinvolti in una vicenda più grande di loro, che indubbiamente segnò la loro vita». A cominciare dalla famosa querela, che come precisò Loriana nel nostro incontro di due anni fa, «fummo indotti a sporgere per le insistenze del Partito comunista, che volle fare del nostro matrimonio un caso contro la Chiesa. Da allora – annotò Loriana – tutto ci sfuggì di mano». Fino alla sua decisione di abbandonare il marito, portandosi dietro il figlioletto (che, per inciso, fece battezzare di nascosto), nella Pasqua del 1959. «Il nostro matrimonio – ci spiegò Loriana – non funzionava, indipendentemente dal clamore che ci avvolgeva. Dopo l’ultimo gesto d’ira di Mauro, che una sera a tavola rovesciò la minestra rischiando di bruciare Lelio, io presi e me ne andai».Che nella Prato rossa e governata dai comunisti Mauro Bellandi fosse lasciato solo, è convincimento difficile da sostenere. Tanto più che – come ricordano le cronache del tempo – intorno ai coniugi Bellandi si scatenò una vera e propria gara di solidarietà a livello nazionale, con tanto di sottoscrizione pubblica: furono raccolti quasi quattro milioni di lire (una cifra importante allora). Già all’epoca del processo l’attività commerciale del Bellandi – un ingrosso di alimentari – iniziò ad andare male. Il clamore della vicenda influì probabilmente sugli affari, ma che le banche non gli facessero più credito per il «caso» – come sostiene Ermini – è da provare. Tantomeno – come si è sostenuto a lungo – che dietro ci fosse la mano di mons. Fiordelli.Nel novembre del 1957 Mauro Bellandi fu colpito da un’encefalite emorragica, che lo menomò nel fisico. La propaganda anticlericale sostenne a lungo che la malattia fu provocata dalla fortissima pressione delle polemiche. Si aggiunse anche, tra l’altro, il particolare di un’aggressione fisica mai avvenuta. Loriana non aveva dubbi: «Il caso giudiziario e le polemiche non c’entrarono per niente». Nessun dubbio anche sull’aggressione, «mai accaduta». Il figlio Lelio concorda, in base ai racconti della madre. Del resto furono anche i giornali all’epoca più schierati contro mons. Fiordelli e la cosiddetta «crociata clericale» a scriverlo chiaramente. Parlando di un’encefalite emorragica «prodotta da malattia infettiva», l’«Espresso», nel numero del 24 novembre 1957, spiega: «Molto probabilmente si tratta di un’influenza asiatica, che il Bellandi aveva trascurato. Comunque il prof Lunedei (clinico universitario fiorentino, ndr) ha escluso che l’emorragia cerebrale sia dovuta a un trauma psichico, come in un primo tempo s’era creduto».Addirittura da certi ambienti si accreditò l’ipotesi che la grave malattia avesse colpito Mauro Bellandi dopo aver appreso la notizia del Battesimo amministrato in segreto, per volere della moglie. «Comunque – annotava l’«Espresso» – anche ammettendo per vera l’ipotesi della notificazione del Battesimo, il referto del prof. Lunedei esclude che un trauma causato da tale notizia abbia potuto provocare l’emorragia».Infine l’esilio. «Una notte, all’improvviso, – ci raccontò Loriana – arrivarono a casa di Mauro alcuni esponenti del Partito comunista. In tutta fretta lo presero e di nascosto lo trasferirono in Cecoslovacchia». La versione ufficiale dei fatti fu che in quel paese sarebbe stato curato adeguatamente. Il figlio Lelio conobbe il padre quando aveva vent’anni, rimanendo con lui solo pochi giorni nella città slovacca di Banska Bystrica: «Non posso dimenticare la povertà e la tristezza di quel paese sotto la dittatura comunista», ci dice. Fu quello l’unico incontro col padre. Quattro anni fa ha appreso la notizia della morte. Ma quali siano stati i motivi veri di questa trasferimento coatto e – a quanto pare – a sorpresa, del padre, nessuno lo ha mai detto. Lelio preferisce non parlarne, facendo capire che dietro ci sarebbero altri motivi, sicuramente legati alla politica: «Non certo – precisa – la volontà di chiudere, con il trasferimento del babbo, i clamori delle polemiche, come da più parti fu sostenuto». Se all’esilio fu costretto, fu per colpa del «Partito», come lo chiama il figlio Lelio. E non «in qualche modo», come afferma l’Ermini.