Lettere in redazione
Conciliazione obbligatoria, una buona norma
Sembra sia già attivo l’istituto della conciliazione obbligatoria per dirimere le liti prima di adire alle vie dei tribunali. Finalmente si cercano vie diritte e concrete, quasi da Common Law, per risolvere tante questioncelle che andrebbero ad intasare i tribunali e costerebbero tanti soldi e tanto tempo alla collettività. È vero il nostro diritto è monumentale e bello, soprattutto dal punto di vista degli studiosi. È un ensemble di letteratura e civiltà portate a livello matematico, tali e tante sono le sottigliezze e le logicità delle norme che lo compongono e lo informano. Dalla Roma repubblicana e dalla Costantinopoli di Giustiniano tale coacervo normativo si è stratificato nella nostra civiltà dandole, a ragione, una impronta civilissima. Quando si scende nella pratica, però, le cose belle devono essere adattate alle realtà quotidiane ed il diritto è troppo complesso per le relazioni moderne che viaggiano alla velocità della luce. Per tante cosette è meglio usare un diritto «abbreviato» come diceva Tacito a proposito degli usi giuridici dei barbari che erano più pratici che le solennità giuridiche romane. Peraltro corruptissima res publica plurimae leges.
Si dice che la conciliazione sottrarrà lavoro agli avvocati. Io non lo credo. Gli avvocati che sapranno cavalcare questo istituto «semplificato» si faranno un buon nome. È un istituto da coltivare nell’interesse effettivo di tutti. Direi di più: essa dovrebbe essere obbligatoria soprattutto per i circa 8 mila Comuni quando questi entrano in conflitto con i cittadini per indennizzi. Si pensi al cittadino che cada a causa di una buca in strada poco illuminata. Perché resistere ad indennizzarlo in ogni ordine di giudizio di tribunali perché paga pantalone e perché nessuno si vuole prendere la responsabilità di negoziare? In questa maniera si buttano via denari pubblici anche per cause che sono sicuramente perse. La conciliazione sarebbe una buona strada per ridurre massivamente le spese pubbliche inutili. E non ci sono solo i Comuni.
La giustizia civile in Italia non funziona. Sono quasi cinque milioni le cause ancora pendenti, con un tempo medio per arrivare alla sentenza di primo grado superiore a tre anni, mentre ce ne vogliono sette per arrivare a quella in Cassazione. Colpa delle inefficienze della macchina giudiziaria, ma anche di un ordinamento che non penalizza chi intenta cause strampalate, costringendo la parte chiamata in giudizio anche in modo proditorio a munirsi di avvocato e di tanta… pazienza. Da qui l’urgenza di ridurre la «litigiosità» degli italiani, che sembra non aver pari in Europa. Va in questa direzione l’istituto della «conciliazione obbligatoria», introdotto dal decreto legislativo n. 28 del 2010. Sono rimasti fuori da questa disciplina le cause su problemi condominiali e quelle di responsabilità civile derivante da circolazione dei veicoli.
Per capire se funziona davvero credo sia necessario attendere almeno un paio d’anni. Per il momento dobbiamo sottolineare che se l’intenzione è ottima, non mancano le perplessità su alcune modalità di funzionamento. Prima di tutto sulla «obbligatorietà» della conciliazione. Poi sui costi. Mettiamo che la controversia riguardi un appartamento del valore di 300 mila euro. Le parti dovranno pagare entrambe mille euro al conciliatore, il quale si badi bene non decide chi ha ragione, ma soltanto invita le parti a trovare una soluzione amichevole, prima di andare in giudizio. Come disincentivo alle liti ha un senso. Ma per chi è trascinato ingiustamente in causa si tratta di un balzello in più da pagare, solo in parte recuperabile attraverso il credito d’imposta.
Claudio Turrini