Vita Chiesa

Con Ratzinger alla scuola della verità

di Michele Brancale

Non è stata una sorte facile quella che è toccata al cardinale Joseph Ratzinger, prima di diventare Benedetto XVI, quando era prefetto per la Congregazione della dottrina della fede (l’ex Santo Uffizio). Dipinto a tinte fosche, soprattutto negli anni ’80 durante il confronto, anche aspro, sulla teologia della liberazione, si è fatto fama di duro. Ma se si chiede a chi critica quali sono i motivi all’origine di un giudizio simile, si scopre una certa povertà di argomenti se non proprio un deficit di informazione su questa figura austera e tutt’altro che rigida, come si è potuto vedere e sentire nell’omelia pronunciata in San Pietro, davanti alla salma di Wojtyla, e nella simpatia che sta suscitando nei suoi primi giorni di pontificato. È l’uomo che, in un’alta riflessione sui movimenti ecclesiali, ha richiamato i vescovi a dare più spazio allo Spirito e meno all’organizzazione. Rileggendo oggi i documenti di Ratzinger sulla teologia della liberazione, vi si scoprono un equilibrio e una moderazione suffragati dalla storia degli ultimi anni. Ratzinger non è «conservatore» – se si può utilizzare un termine simile per un uomini di chiesa – ma un moderato piuttosto aperto, preoccupato nel contesto ingessato della guerra fredda di salvaguardare la Chiesa e i suoi insegnamenti (che coincidono con orientamenti) da una deriva ideologica, fosse essa di sinistra o reazionaria. Compito difficilissimo, che peraltro non si è esaurito dopo l’89, da quando la divisione del globo si colloca tra Nord (ricchezza) e Sud (povertà).

C’era e c’è un’eredità da trasmettere, quella del Concilio Vaticano II, senza svendere la Chiesa a visioni unilaterali, all’insegna della riforma secondo categorie politiche o dell’isolamento in nome di una tradizione che non si misura con i segni dei tempi. È il grosso problema, l’«ipercriticismo», che Giovanni Paolo II descrive nella sua prima enciclica, la “Redemptor Hominis” e che Ratzinger condivide. «Ho visto e sperimentato molto chiaramente che le idee di riforma si dividevano, che c’era un abuso della Chiesa e della fede di cui ci si serviva come strumenti di potere, ma per scopi del tutto differenti e con idee e intenzioni del tutto diverse – ha datto Ratzinger –. La volontà unanime di servire la fede veniva qui spezzata. Al suo posto avveniva una strumentalizzazione per mezzo di ideologie che erano tiranniche, brutali e spietate. Mi fu allora chiaro che, se si voleva restare fedeli alla volontà del Concilio, bisognava combattere contro l’abuso che se ne faceva». A Joseph Ratzinger fu dedicato, in occasione dei 70 anni (ora ne ha 78), un volume edito dalle Edizioni Paoline, dal titolo «Alla scuola della verità» e presentato a Roma nella Basilica di Santa Maria in Trastevere il 22 dicembre del ’97, a cura della Comunità di sant’Egidio e dall’allora segretario particolare del cardinale Ratzinger, monsignor Josef Clemens, oggi vescovo e segretario del pontificio Consiglio per i laici.

Nella miscellanea interventi dello storico Andrea Riccardi, l’attuale patriarca di Venezia Angelo Scola, insieme al cardinale di Parigi Jean Marie Lustiger e, ancora, il rabbino Jacob Neusner, il cardinale di Colonia Joachim Meisner e di Monaco Friedrich Wetter, ma anche il fratello Georg Ratzinger. Veniva delineato un ritratto a più voci che aiuta a cogliere in profondità lo spessore del cardinale che non ha creato un suo sistema teologico perché «mi propongo di pensare insieme con la fede della Chiesa», a partire dallo studio e dell’amore per la Sacra Scrittura («credere alla parola di Dio, cercare davvero di conoscerla e di comprenderla e, quindi, pensare insieme con i grandi maestri della fede»), senza dimenticare di dialogare con il pensiero del passato e con quello contemporaneo. Il cardinale non è avulso dalla storia, quella dei popoli e quella della Chiesa, così strettamente intrecciate. Ratzinger, lo sottolinea lo storico Andrea Riccardi, è insieme a Wojtyla «alla ricerca di un’Europa altra». È fuori di dubbio che l’opera di Ratzinger sia coniugata a quella del pontefice che ha elaborato fin dalla sua nomina a Papa un’organica politica europea: «Giovanni Paolo II innesta motivi e passioni nuove su di una politica di lungo periodo comune ai pontificati del Novecento – osserva Riccardi –. Il bisogno di Europa è, almeno dall’inizio del Novecento, un’esigenza radicata nel profondo di quell’internazionale cattolica ed europea che è la Chiesa. L’Europa è l’unica via per uscire dalla morsa dei nazionalismi e dalla logica della guerra fredda». Un grande problema della politica vaticana novecentesca «è proprio il rapporto con la nazione con i nazionalismi. Nel papato del Novecento c’è la coscienza di essere l’unica istituzione europea non nazionale e non nazionalizzata».

Come custodire e promuovere la sapienza della Chiesa non solo nel contesto europeo, ma di fronte ai cambiamenti continentali di fine millennio? Per il cardinale Carlo Maria Martini il compito di Ratzinger è «difficile, perché occorre da una parte accettare ed accogliere la molteplicità dei contributi in campo dottrinale che pervengono dalle diverse aree del pensiero e della cultura: non si tratta infatti di ricondurre tutto a un pensiero uniforme, ma di valorizzare le diversità. Dall’altra occorre difendere la fede dalle sue contraffazioni e mettere in guardia di fronte ai pericoli». È insomma un compito di architettura dottrinale e umana quella che compie Ratzinger, uomo che «ha sentito personalmente la durezza di una contestazione che partiva da premesse anche valide, come la riconduzione del cristianesimo alla sua primitiva semplicità e povertà e la preoccupazione per la giustizia, ma rischiava di lasciarsi irretire da una parte dalla politica e dall’altra da un oblio e quasi da un risentimento verso il cammino della grande tradizione e verso la sua saggezza».

Non ci si può aspettare che «un’opera così delicata riceva facilmente il plauso di tutti né che vengano evitati casi dolorosi». Il cardinal Martini spiega che vi sono sempre stati casi difficili nella storia della Chiesa, e «talora il senno di poi ha mostrato che forse si sarebbe potuto procedere in altro modo. Ma il senno di poi è dato ai posteri, mentre ai contemporanei si richiede di agire ciascuno nel massimo della buona coscienza e della competenza. In queste cose Joseph Ratzinger ci è di modello e di stimolo»; ora da Papa.