Il Re è nudo. Ma non ha il nome di Sergio Mattarella. Infatti, la sua risalita al Colle lo ammanta di una laicissima veste regale. In democrazia un settennato è lunghissimo, due settennati sono un’eternità. Ma la solida cultura democratica dell’uomo designato a rivestire il ruolo di Capo dello Stato, unita al suo profondo rispetto per la Costituzione repubblicana, alla sua innata sobrietà, alla sua rigorosa coscienza cristiana, alla sua coerente storia personale, al suo amore per il popolo di cui si sente un figlio, consentono oggi di affermare che l’Italia è al sicuro. Quindi, anche noi diciamo «grazie» a Mattarella per aver accettato con leale senso di responsabilità, ma senza un sorriso, il secondo mandato.Dopo la settimana più pazza della politica italiana, però, e dopo gli scricchiolii del sistema istituzionale che tutti sinistramente abbiamo avvertito, in molti sono nudi. Di sicuro lo sono i partiti, i movimenti e le coalizioni. Nudi sono i leader e i grandi elettori. Nudo è il Parlamento così come lo stesso sistema istituzionale. Nudo è il bipolarismo e nudi sono il populismo e il sovranismo. E anche il riformismo si è presentato nudo all’appuntamento politico più importante della vita repubblicana. Oggi non ci sarebbe errore più fatale di quello di sublimare un fallimento, spacciandolo per un successo. La storia non lo perdonerebbe a nessuno degli attuali protagonisti della politica.Dunque, più che vantare questa elezione che mette sulle spalle di un uomo di 81 anni una responsabilità immensa, ciascuno dovrebbe cominciare a chiedersi come spendere il tempo che ci divide dalle elezioni politiche che si svolgeranno presumibilmente nella primavera del prossimo anno, oltre che la successiva intera legislatura. Se cioè tutti questi anni non debbano essere spesi per consolidare un nuovo patto costituente. Anche il governo Draghi che esce apparentemente rafforzato da questa settimana di tribolazioni, potrebbe contribuire a creare le condizioni per il dialogo indispensabile all’avvio di una fase costituente. L’adoperarsi per il bene reale del Paese, attraverso la sconfitta definitiva del Covid, l’implementazione più efficace dei fondi del Pnrr e il perseguimento di una maggiore giustizia sociale attraverso il lavoro, restituirebbe alle forze politiche il rispetto dei cittadini, profondamente scossi dalla parabola tortuosa e spesso incomprensibile di queste elezioni presidenziali.Sicuramente Mattarella è il miglior alleato di Draghi nel sollecitare e garantire una postura del governo sobria e costruttiva. Persino al di là delle attese dei cittadini. Sì, vorremmo essere stupiti dall’alacrità del governo e del Parlamento. E ci piacerebbe poter dire, alla fine di quest’anno, che l’Italia ha riguadagnato fiducia in se stessa e che continua a correre sul binario della crescita economica, in un quadro di giustizia sociale. Ma perché questo accada è necessario che molto cambi.A cominciare dalla consapevolezza che una riforma costituzionale di cui già tutti parlano, richiede una coesione politica oggi inesistente. È forte, anzi, il timore che riprenda un balletto sgraziato sulla nuova legge elettorale (più proporzionale che maggioritaria) come strumento di riposizionamento per partiti, movimenti e coalizioni. In realtà, come i fatti hanno drammaticamente dimostrato, sono proprio loro (se mai sopravviveranno a questo fallimento) i primi a doversi autoriformare. Partendo dalla constatazione che le elezioni hanno fatto deflagrare il centrodestra e sfarinare il centrosinistra. Con una resa dei conti scattata poche ore dopo la chiusura del seggio elettorale per l’elezione del Presidente.Ecco, dunque, il grande paradosso. Confermando Mattarella e Draghi, la politica sembra aver scelto di non cambiare. Ma questa volta è altamente probabile (e auspicabile) che assisteremo a un sorprendente rovesciamento della celebre previsione del Gattopardo. E cioè che nulla cambi (apparentemente) perché tutto cambi (realmente).