Prato

Comunità cinese, prove tecniche di dialogo

Viene avviato su più fronti un tentativo di dialogo con la comunità cinese – e in particolare – con gli imprenditori cinesi per tentare di creare quello che è stato ribattezzato il distretto «tosco-cinese». In pratica, una prova di integrazione fra il distretto tessile pratese e quello delle confezioni cinesi, quelle regolari, ovviamente, che hanno sede nel territorio. Facendo sì, piano piano, che queste ultime non si riforniscano più di tessuti a buon mercato dalla Cina, ma di stoffe di più alta qualità dalle ditte pratesi, perdendo qualcosa sul piano del prezzo, ma con la possibilità di rifarsi vendendo a prezzi più alti prodotti di maggiore qualità.Adesso è la Provincia, con il presidente Lamberto Gestri, ad annunciare l’apertura prossima di un tavolo con un gruppo di imprenditori – provenienti dall’area delle due associazioni «Amicizia dei cinesi di Prato in Italia» e «Commercio italo-cinese». Per Gestri «Tentare il dialogo è una scelta strategica, si tratta di un percorso che avrà tempi lunghi ma che rappresenta una necessità per il distretto», spiega. Proprio sulla primogenitura del dialogo con la comunità cinese si registra qualche scaramuccia a distanza fra le istituzioni, Provincia e Comune, di opposto colore politico. Gestri fa notare come il tavolo appena annunciato «è il risultato di una serie di contatti avviati prima della mia elezione. Appena eletto ho nominato tra i miei consiglieri, anche l’imprenditore Quilin Xu (Giulin) e insieme a lui ho cominciato a lavorare», sottolineando poi la rete di contatti tessuta con la visita istituzionale a Wenzhou, in Cina. Dal canto suo il sindaco Cenni – che ha fatto trapelare nei giorni scorso il suo progetto di coinvolgere le catene Zara e H&M per vendere i prodotti tosco-cinesi – replica «Io ci lavoro da settembre. E non è questione di chi ci ha pensato prima: basta parole, andiamo ai fatti», esprimendo tutte le sue perplessità su un nuovo tavolo, dopo quello del distretto e quello sull’illegalità annunciato da Maroni e a cui siederanno anche le parti sociali.Sul fronte illegalità, il presidente della Provincia ha sottolineato i 40mila euro messi a disposizione «per potenziare l’attività delle forze dell’ordine per i controlli», sottolineando come dall’altra parte «Occorre lavorare per il dialogo e per promuovere processi di integrazione a tutti i livelli».

(dal numero 5 del 7 febbraio 2010)

IL COMMENTO

Chinatown, la legalità è indispensabile ma non basta

di Gianni RossiL’ultimo, preoccupante quanto autorevole allarme, è venuto sabato 30 gennaio dal Presidente della Corte d’Appello di Firenze, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Nella rassegna da lui compiuta, la malavita cinese occupa tra Firenze e Prato «una posizione di rilievo per le elevate capacità di inserimento nel contesto economico ed imprenditoriale, evidenziando strutture aventi tutte le caratteristiche dell’associazione di tipo mafioso». Oltre allo sfruttamento lavorativo di connazionali clandestini, fenomeno ben conosciuto a Prato, l’alto magistrato ha sottolineato come la «mafia cinese» organizzi «un vero e proprio racket per la protezione degli esercizi economici impiantati dagli stessi cinesi e per dedicarsi allo sfruttamento della prostituzione». È questo un profilo finora non particolarmente evidenziato, che getta un’ombra inquietante su una realtà, come quella cittadina, che vede una rilevante presenza di esercizi commerciali cinesi.Stridono ancor più, davanti a questa allarmata descrizione della realtà, le parole pronunciate all’indomani del blitz pratese in via Rossini, dal Console cinese a Firenze, che addirittura negava il fenomeno dello sfruttamento della manodopera e della schiavitù.Ecco perché certe discussioni e polemiche sul fronte della legalità – anche all’indomani dell’ultimo blitz organizzato a Prato – appaiono un po’ fuori della realtà. Non si può pretendere che le Forze dell’Ordine chiedano scusa prima di entrare in un capannone dove lavorano i cinesi. Il Vescovo – che certo non si può accusare di trascurare la solidarietà – è stato il primo a denunciare con decisione, molti anni fa, la schiavitù «della porta accanto», quella che si svolge «sotto le nostre finestre», come tante volte l’ha definita. Si tratta – è chiaro da tempo – di un fenomeno complesso, che si è realizzato grazie alla complicità interessata di molti imprenditori e di quei pratesi  che magari prima affittano capannoni e case ai cinesi e poi dicono tutto il male possibile di loro. E proprio su questo fronte, quello della complicità degli italiani, bisognerebbe trovare soluzioni di contrasto e di deterrenza. Semmai, come richiamato anche dal Presidente della Corte d’Appello, è sui grandi movimenti di denaro che, ancor più che dentro i capannoni, bisognerebbe mettere l’occhio.  Il timore è che certi cinesi, grazie all’ingente disponibilità di denaro liquido, possano approfittare della crisi economica del distretto acquistando disinvoltamente pezzi di industria e città locale.Una maggiore chiarezza sul senso inderogabile di un recupero della legalità in ampi territori della città, merito indubbio del sindaco Roberto Cenni, non può però far dimenticare che la legalità è sì indispensabile, ma da sola non basta. I cinesi a Prato potranno forse allentare la loro presenza, ma ormai sono un dato di fatto strutturale, che faccia piacere o no ammetterlo. Con loro, con il loro «distretto parallellelo», i pratesi devono fare i conti, cercando di far diventare quella che a molti appare una iattura e che indubbiamente è un grande problema, una risorsa per la nostra città. In tal senso vanno salutate con favore e grande interesse le iniziative annunciate dal sindaco Cenni e dal presidente della Provincia Gestri dell’avvio di un dialogo con alcuni imprenditori cinesi per integrare i due distretti, quello tradizionale pratese e quello cinese. È questa una delle strade maestre da percorrere. Sarebbe anche l’occasione giusta perché Comune e Provincia mostrassero, al di là dei proclami e delle parole, di saper condividere un progetto per il bene di tutta Prato.