Cultura & Società

Comunicazione primo potere

di Ettore BernabeiDopo la fine della seconda guerra mondiale, il cinema produsse diversi film sul «Quarto potere», con l’intento di far capire alla gente la potenza determinante della stampa periodica e quotidiana nell’orientare l’opinione pubblica, dopo le funzioni decisionali e disciplinari esercitate dai tre poteri tradizionali: legislativo, governativo e giudiziario.

Oggi – alla distanza di neppure sessant’anni – i più accorti avvertono chiaramente che: il primo potere nel mondo globalizzato è esercitato dalla comunicazione, (tv, cinema, stampa) in stretta simbiosi con la finanza; in molti paesi al terzo posto sta il potere della magistratura; ovunque la politica sta ormai al quarto posto, con variazioni geografiche di leaderships funzionali dei parlamenti o dei governi.

Viene impellente la domanda: Come è avvenuto questo rovesciamento di posizioni ai vertici della guida effettiva degli individui e dei popoli?

In mancanza di risposte omnicomprensive, le rilevazioni statistiche che fotografano il consumo giornaliero dei vari mezzi di comunicazione da parte della popolazione attiva (dai 14 agli 85 anni) possono evidenziare meglio l’anomalia del fenomeno e le rischiose conseguenze che ne potrebbero derivare: In Italia il 98,5% della popolazione guarda la TV (in media tre ore al giorno); il 75,3 usa il telefono cellulare; il 65,4% ascolta la radio; il 56% legge i quotidiani; il 44% i periodici; il 42,5 i libri; il 36% usa il computer; il 27,8% naviga in Internet.

Certi settori della tecnocrazia spiegano che la eccezionale diffusione – avvenuta nell’arco di pochissimi anni – della televisione, della telefonia mobile e delle reti web hanno provocato il balzo della comunicazione al culmine dell’esercizio del potere e la retrocessione della politica ad una retroguardia ancillare.

Ma nelle vicende umane le tecniche o le metodologie strumentali non sono mai riuscite da sole a cambiare le situazioni. C’è sempre una volontà umana che guida le tecnologie e le applicazioni scientifiche e quindi i sistemi economici e le strutture politiche.

Fino agli anni sessanta i paesi dell’Occidente avanzato, dopo aver ricostruito quanto la guerra aveva distrutto, si erano impegnati nel progettare e realizzare programmi di sviluppo economico, che avrebbero potuto portare i paesi, già colonizzati ed arretrati, a partecipare ad una epocale redistribuzione delle ricchezze del mondo industrializzato: Erano i grandi orizzonti disegnati dal presidente Kennedy per la «nuova frontiera», quasi in risposta all’accorato appello che il papa Paolo VI aveva lanciato con la «Populorum Progressio», affinché fossero eliminate le grandi povertà.

A metà dagli anni settanta, prima l’Inghilterra della signora Tacher e poi gli Stati Uniti proposero una mentalità nuova, che trasformò i paesi industrializzati da società produttrici a società consumatrici, spostando l’economia dalla produzione di beni reali (che potevano essere fruiti anche dai paesi sottosviluppati) alla speculazione finanziaria, dalla promozione del bene comune all’incentivazione egoistica della carriera e del divertimento. Con questa svolta cambiò anche l’atteggiamento verso il terzo mondo. I paesi sottosviluppati diventarono – specialmente in Asia e nel centro America – falansteri per vacanze poco costose, oppure illusori paradisi di lusso per il turismo erotico e pedofilo; garantendo lauti guadagni alle multinazionali che impiegano personale alberghiero a salari bassissimi.

Dopo la caduta del muro di Berlino e la scomparsa della Unione Sovietica dal sistema di equilibri internazionali concordato a Yalta, nei paesi industrializzati di lingua inglese si sviluppò il disegno di unificare e dominare il mondo attraverso la finanziarizzazione della economia e la omogenizzazione globalizzata delle informazioni, nonché e di ogni forma di comunicazione televisiva, radiofonica, Web, a stampa. Pertanto, a partire dagli anni Novanta, la comunicazione multimediale è diventata forza traente della globalizzazione finanziaria, rappresentata come una fosforescente panacea universale, che avrebbe fatto sorgere paradisi terrestri in ogni angolo della terra, attraverso le bacchette magiche delle privatizzazioni e delle delocalizzazioni della mano d’opera. Nel frattempo venivano organizzati scenari di guerra o di temibili «scontri di civiltà», che i mezzi di informazione continuano ad enfatizzare quotidianamente, insieme a scenari di malattie epidemiche (mucca pazza, Sars, Aids) o di efferati casi di cronaca nera locale. Una sensazione di paura permanente viene così percepita da tutti coloro che ricevono la comunicazione globalizzata.

Ad oggi alcuni dei paesi più sviluppati hanno perso molti posti di lavoro nelle industrie ad alti livelli salariali; molti paesi nuovi non sono decollati, rimanendo nel sottosviluppo con la piaga dei salari da fame e con il gravame di enormi indebitamenti. Alcune grandi multinazionali, come la Enrom, sono state distrutte dai vortici della speculazione finanziaria e altre imprese, come la Parmalat, pur rimanendo capaci di produrre ricchezza con la trasformazione di prodotti agricoli alimentari, hanno bruciato enormi quantità di denaro, imprestato da migliaia di fiduciosi risparmiatori.

Ma la genesi e gli sviluppi di questi accadimenti non vengono indagati, né spiegati, e neppure compiutamente rivelati dai prodigiosi ed onnipotenti multimedia; anche se ogni tanto – di straforo – qualche guru della finanza si lascia scappare previsioni agghiaccianti su una catastrofica fine della speculazione nelle Borse e sui rischi di una crisi generale, molto più grave di quella del 1929.E noi italiani che possiamo fare?

I giovani, adeguatamente dotati, si devono preparare, con la serietà degli studi umanistici, ad esercitare le professioni della comunicazione, seguendo sempre la bussola della moralità finalizzata al bene comune.

Gli utenti di tutte le età, non devono rimanere dinanzi agli elettrodomestici della comunicazione, come lepri sotto i fari; devono legittimamente esercitare i loro diritti di cittadini, richiedendo, scegliendo, premiando informazioni veritiere, intrattenimenti confacenti ad uomini liberi e non ad animali abbrutiti.

Anche per queste strade si potrà tornare, faticosamente, al primato della politica, che rimane la più sicura garanzia delle libertà.

LA MAPPA DELL’INFORMAZIONE REGIONALEIn Italia, in fatto di stampa, si legge poco: un quotidiano ogni dieci-undici persone, praticamente solo il 10% della popolazione acquista un giornale ogni mattina. Si guarda però tanto la tv e si ascolta la radio: le antenne raggiungono il 95% della popolazione.

In Toscana si legge un po’ più della media nazionale, grazie soprattutto ad alcune province. Ma solo il 12,8% dei toscani acquista un quotidiano. In testa alla classifica c’è Livorno (16,5%), seguita da Lucca (14,4%) e Firenze (14,3%). La maglia nera spetta agli aretini di cui solo 84 su mille acquistano un quotidiano. Pisa conquista un preoccupante penultimo posto (10,8%).

A livello di quotidiani, sia nati nella regione che presenti con pagine di cronaca locale esistono La Nazione, La Repubblica, Il Tirreno, Il Giornale della Toscana, L’Unità, Il Manifesto, Il Sole-24 Ore, Il Corriere di Firenze, Il Corriere della Maremma, Il Corriere di Lucca, Il Corriere di Siena, Il Corriere Elbano, Il Corriere di Arezzo. A questi si possono aggiungere City (in distribuzione gratuita), Il Corriere dello Sport e La Gazzetta dello sport.

A livello di agenzie di stampa, sono presenti in Toscana l’Adn Kronos, l’Agenzia Italia, l’Agi press, l’Ansa, l’Asca, l’Emmegi press, la Football Data e l’Agenzia servizi radiofonici Orma.

Numerose le radio e le televisioni. Tra queste anche alcune emittenti di proprietà delle diocesi o comunque vicine al mondo cattolico come Radio Toscana Network, Radio Incontro, Radio Incontri, Radio Antenna Toscana Uno, Radio Alleluiah, Tv Prato, Telesandomenico, Tv Libera Pistoia, Tele Nuovi Orizzonti.

La stampa delle diocesiNel panorama dell’editoria toscana, un capitolo a parte (dal nostro punto di vista) lo merita la stampa diocesana di cui fa parte anche il nostro settimanale, Toscanaoggi, che di diocesi ne collega 16 con altrettante edizioni locali. Esistono poi altre due realtà autonome: La Vita, settimanale della diocesi di Pistoia (l’unica che non fa parte di Toscanaoggi) e Il Corriere di Pontremoli, settimanale cattolico di una zona particolare della diocesi di Massa-Carrara-Pontremoli (quella di Pontremoli appunto) legato soprattutto ai tanti emigranti partiti da quella terra.

SULLA COMUNICAZIONE IL FORUM TOSCANO DEI CATTOLICI; PRIMO INCONTRO IL 7 FEBBRAIO