di Graziella Teta Vive più nei ricordi che nella pratica, si manifesta più nell’adesione formale che nel cuore. Oggi sembra sfuggire ai più il significato profondo di quel tempo, ricco di grazia, che è la Quaresima. «Il tempo privilegiato del pellegrinaggio interiore verso Colui che è la fonte della misericordia. È un pellegrinaggio in cui Lui stesso ci accompagna attraverso il deserto della nostra povertà, sostenendoci nel cammino verso la gioia intensa della Pasqua», secondo il messaggio di Papa Benedetto XVI.Un tempo, dunque, che è un cammino di preparazione alla celebrazione della Pasqua, culmine della fede cristiana. Un tempo favorevole alla conversione, a vivificare la fede, a riscoprire un rapporto più profondo con Dio, anche attraverso digiuno e penitenza, preghiera ed esercizio della carità. Ossia, le pratiche tipiche della Quaresima, che un tempo si trasmettevano di generazione in generazione, con l’esempio e la testimonianza, ma che oggi sono sempre meno conosciute e sentite, spesso anche dai fedeli che vivono questo tempo in maniera distratta e un po’ superficiale.Ammette don Enrico Giovacchini (priore di San Martino e San Sepolcro, sociologo): «Emerge di più l’aspetto formale e vedo poca ricerca di conversione. Alle pratiche della penitenza e del digiuno sono più affezionati gli anziani, meno i giovani. Ma, ripeto, non si tratta di conversione: né negli atteggiamenti verso la comunità, né nella ricerca di uno stile di vita più sobrio. Insomma, sfugge il senso profondo: tornare ad un vero rapporto con Dio, attraverso Cristo. E non solo durante la Quaresima, ma nelle scelte della vita quotidiana». E offre un suggerimento: «Sarebbe già molto se le persone dedicassero dieci minuti al giorno a riflettere ed a rileggere le pagine del Vangelo che hanno ascoltato la domenica alla celebrazione eucaristica. In un anno si legge tutto il Vangelo !». Come dire: ascoltare la parola di Dio, farla entrare nel cuore e metterla in pratica ogni giorno. È, o meglio dovrebbe essere, lo «stile» del cristiano che vive nella società secolarizzata di oggi. Anzi, soprattutto oggi: tant’è, che nei primi tre secoli di vita della Chiesa non c’era un periodo di preparazione alla celebrazione della Pasqua. Le comunità cristiane vivevano così intensamente la fede, fino alla testimonianza del martirio, da non avvertire la necessità di un periodo di tempo per rinnovare la conversione, già avvenuta con il battesimo.«Ecco, va rivalutato il senso vero della tradizione – commenta don Piero Dini (priore di San Michele degli Scalzi, responsabile del centro pastorale per la catechesi e l’evangelizzazione) – intendendo la Quaresima come tempo di riscoperta del battesimo. E questo vale soprattutto per le giovani coppie, genitori dai 25 ai 40 anni, che non sanno e quindi non possono trasmettere ai figli la bellezza delle pratiche, quali la penitenza e la preghiera intensa, per riconciliarsi con Dio e con i fratelli». Per don Dini, dunque, «serve più educazione e meno messe», nel senso che alla chiesa si chiedono molti «servizi» (come le messe per i defunti, per fare un esempio), mentre spesso si dimentica che essa è prima di tutto luogo dove «lasciarsi riconciliare con Dio» (è l’esortazione di S. Paolo, che risuonerà il Mercoledì delle Ceneri), partendo proprio dalla Parola. Don Piero insiste sulla necessità di creare gruppi e centri di ascolto della Parola, per genitori, educatori, catechisti. E li promuove instancabilmente, auspicando che la partecipazione aumenti. Invita, in particolare le coppie, all’incontro dal titolo «Come passare dal cambiare al convertirsi» (in programma venerdì 1° febbraio in San Nicola).Uscendo dalla città, la situazione non è molto diversa. Conferma don Mirio Coli, pievano di Campo: «La Quaresima? Qualche preghiera in più, sia dai più anziani sia dai giovani del catechismo. Ma non si può dire che sia sentita e vissuta profondamente è un segno dei tempi. Però, qui la gente è semplice, e vive semplicemente la fede. Partecipa alle celebrazioni eucaristiche e conduce una vita tranquilla. E va bene così. Alta la partecipazione agli eventi, come la via Crucis; è anche un modo simbolico per essere vicino a chi soffre». Don Mirio però non desiste nell’alimentare maggiore spiritualità, anche attraverso il vernacolo pisano di cui è cultore (ha al suo attivo 400 testi), un modo «creativo» per parlare alla gente della bellezza della fede in Cristo.Anche in provincia, dunque, gli aspetti tradizionali, e quelli più devozionali, della Quaresima prevalgono, radicati soprattutto nelle famiglie dove l’educazione religiosa è forte, e tra i fedeli più adulti. I giovani sono più «difficili» da coinvolgere. Ma certo non mancano occasioni per approfondire: a Bientina, il pievano don Ettore Baroni s’impegna da sette anni nell’avvicinare le persone alla chiesa (incontri sulla Parola il mercoledì, adorazione eucaristica il giovedì, e altri appuntamenti di riflessione). Dice: «Forse il senso della Quaresima andrebbe riadattato ai nostri tempi, per ridare il primato alla spiritualità. Per esempio, si può viverla rinunciando a qualche ora di televisione, e dedicando questo tempo alla lettura delle Scritture, a pregare, a frequentare di più la Chiesa, a dialogare di più in famiglia, tra coniugi e tra genitori e figli. Perseguendo una coerenza tra vita e messaggio evangelico». Qualcuno gli obietta: «siamo tirati dal mondo, difficile staccarsi dai ritmi e dai mille impegni quotidiani». Don Ettore ribatte: «Vero, i condizionamenti socio-culturali, a cominciare dal materialismo martellante, sono ostacoli reali; ma se lo vogliamo davvero. è possibile, con piccole rinunce, ottenere una gioia ben più grande, e vivere in serenità secondo gli insegnamenti di Cristo».Ne è convinto Massimo Salani, professore di religione all’Istituto Alberghiero di Pisa (e apprezzato docente alla Scuola di Formazione Teologica): «Ho ricevuto in famiglia un’autentica educazione cristiana, e conservo bellissimi ricordi del tempo di Quaresima della mia infanzia, vissuta nelle nebbie della pianura padana». Originario di Mantova, 49 anni, sposato, una figlia sedicenne cui ha trasmesso la stessa, forte, educazione cattolica, il prof. Salani ricorda in particolare «il digiuno collettivo, che coinvolgeva adulti e ragazzi. Tutta la comunità viveva profondamente le pratiche e la spiritualità del tempo di Quaresima (preghiera, digiuno, carità). Anche noi piccoli rinunciavamo a qualcosa, e poi donavamo ai più bisognosi. Ed eravamo felici, perché capivamo di fare qualcosa di significativo». Tutto questo l’insegnante lo racconta ai suoi allievi (400 dei 1.400 dell’Istituto), pur nell’esiguità dell’ora settimanale di religione: «Ai ragazzi – che studiano per diventare chef, maître o sommelier – presento un diverso rapporto con il cibo, parlando del digiuno quaresimale per esempio (che esprime la partecipazione del corpo al cammino della conversione, e comunque una dimensione più spirituale dell’esistenza)». Una pratica ormai quasi dismessa, di cui i ragazzi sanno poco o nulla (se non per qualche nonna che ancora vi è fedele); eppure, dice Salani, i giovani si dimostrano interessati, e scoprono che è l’unico «momento normativo» in campo alimentare della religione cattolica (a differenza, per esempio, delle altre religioni monoteistiche, zeppe di precetti in tema di cibo). Quaranta giorni per prepararsi al mistero della Resurrezione Che cos’è la Quaresima? La risposta nelle parole di Giovanni Paolo II: «Ogni anno la Quaresima ci si propone come tempo propizio per intensificare la preghiera e la penitenza, aprendo il cuore alla docile accoglienza della volontà divina. In essa ci è indicato un itinerario spirituale che ci prepara a rivivere il grande mistero della morte e risurrezione di Cristo, soprattutto mediante l’ascolto più assiduo della Parola di Dio e la pratica più generosa della mortificazione, grazie alla quale poter venire più largamente in aiuto del prossimo bisognoso» (2004).Il periodo che precede la celebrazione della Pasqua va dal Mercoledì delle Ceneri fino al Giovedì Santo (44 giorni nel rito romano). Alla fine del IV secolo, e ancora oggi nel rito ambrosiano, iniziava di domenica e durava cinque settimane, per concludersi il giovedì della settimana santa (40 giorni esatti). Il periodo è caratterizzato dall’invito alla conversione, ed è anche il tempo in cui i catecumeni vivono l’ultima preparazione al battesimo. Ricorda i 40 giorni trascorsi da Gesù nel deserto dopo il suo battesimo nel Giordano e prima del suo ministero pubblico, e altrettanti furono i giorni in cui Gesù ammaestrò i suoi discepoli tra la Resurrezione e l’Ascensione. Il numero biblico 40 ricorre ampiamente anche nell’Antico Testamento (i giorni del diluvio universale, quelli trascorsi da Mosè sul Sinai, i 40 anni trascorsi dal popolo di Israele nel deserto prima di giungere alla Terra promessa). Il carattere originario della Quaresima (dal IV secolo) è legato alla prassi penitenziale: coloro che volevano riconciliarsi con Dio e con la Chiesa iniziavano un cammino che durava 40 giorni (da qui il termine latino Quadragesima) fino al Giovedì Santo, quando ottenevano la riconciliazione, con l’imposizione delle ceneri.