Toscana

Come cambia la povertà, forum in redazione

I partecipanti

Al «forum» organizzato nel pomeriggio di martedì 6 luglio presso la sede fiorentina del settimanale e coordinato dal direttore Andrea Fagioli, hanno preso parte l’arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori, il prefetto di Firenze, Andrea De Martino, il rettore dell’Università di Firenze, Alberto Tesi, il vice-sindaco di Firenze, Dario Nardella, l’assessore provinciale fiorentino alle politiche sociali, Antonella Coniglio, il sindaco di Empoli Luciana Cappelli, il sindaco di Bagno a Ripoli, Luciano Bartolini e il presidente della Comunità montana del Mugello, Stefano Tagliaferri. Hanno introdotto i lavori il direttore della Caritas di Firenze, Alessandro Martini e il coordinatore scientifico dell’Osservatorio delle povertà, Annalisa Tonarelli. Ecco una sintesi del dibattito.

ALESSANDRO MARTINIQuest’incontro è importante per 3 motivi fondamentali:1. Dimostra come Caritas il nostro stile, che è anche il vostro dato che cogliete l’invito a confrontarvi in un cammino di collaborazione tra soggetti importanti della società civile, tra i quali la Caritas cerca di giocare un ruolo di raccordo ai fini di affrontare le complesse forme di povertà. 2. Avviene in occasione dell’anno europeo di lotta alla povertà: un progetto promosso da tutte le 48 Caritas europee ad impegnarsi sul territorio affinché la lotta alla povertà sia un impegno costante soprattutto a favore dei bambini. 3. Concretamente vuole fornire un contributo nell’elaborazione del Dossier sulle povertà che uscirà ad Ottobre; un dossier frutto di una raccolta di dati ma anche ragione di una riflessione proposta alla società civile come strumento di conoscenza e di impegno concreto nelle programmazione e progettazione della lotta alla povertà; una fotografia della realtà di povertà del nostro territorio. Vorremmo analizzare i tanti volti della povertà, che si traducono in concrete problematicità quotidiane; situazioni di multi problematicità come è complesso il vivere di oggi, soggetto a continui mutamenti e contraddistinto da variegate forme di fragilità. Seguendo il nostro stile, che si traduce ascolto e osservazione dei fenomeni, svolgiamo un’opera di sostegno al territorio che è proprio della Chiesa tutta, fino a trovare insieme forme di azione concreta per porre risposte al territorio. ANNALISA TONARELLIPremetto che il Dossier non è un rapporto di ricerca ma una prima sgrossatura dei dati, che attraverso il lavoro di osservazione siamo in grado di proporre. Siamo in grado di introdurre un sistema metodologico per dare alle comunità e alla Chiesa locale un modo per aprirsi alle istituzioni cittadine. L’obiettivo è fare di questa pubblicazione un lavoro partecipato dato che siamo di fronte ad un tema particolarmente sfuggente: l’idea di povertà. Attraverso l’analisi dei dati dell’osservatorio, ricavati dai centri d’ascolto, siamo in grado di studiare il fenomeno della povertà in cambiamento. Interessante innanzitutto la variabile temporale: non si è tanto ricchi o poveri, ma si può essere alternativamente nel corso dell’esistenza sia l’uno che l’altro. Il fenomeno aumenta e si modifica, come si evince dagli oltre gli ottomila contatti registrati dai centri d’ascolto, il doppio rispetto a quelli dell’anno precedente. La marginalità non è più un fenomeno che chiama in causa la componente straniera, ma che sempre più chiama in causa la componente italiana; anche una fascia che fino a poco tempo fa sembrava avulso da questi fenomeni è oggi soggetta al rischio povertà. Il dato interessante è inoltre che i disagi tra stranieri ed italiani sembrano sempre più simili; inoltre, se in anni abbastanza recenti eravamo a confrontarci su disagi attribuibili a quelli dei senza fissa dimora, ecco che negli ultimissimi anni abbiamo a che fare con poveri che vivono in case d’affitto, il quale se è un onere da pagare allo stesso tempo è indice di un’integrazione sociale migliore di quella del senza dimora. La maggior parte delle persone evidenzia un problema collegato al lavoro; l’esclusione perpetua dal mercato del lavoro è un dato, ma cresce la precarietà di inserimento nel mercato del lavoro; molte persone hanno un lavoro ma non consente il raggiungimento del minimo vitale. Osserviamo poi che la componente straniera è molto più colta rispetto a quella italiana, mentre crescono anche le richieste di orientamento ai servizi del territorio, servizi esistenti ai quali si deve accompagnare. C’è bisogno di arricchire ed intensificare le metodologie della analisi dei dati favorendo una sinergia che coinvolga a livello politico tanti soggetti che in misura diversa, e con prospettive diverse, si occupano di disagi sul territorio.Circa gli stili di vita, forse si è vissuti per anni al di sopra delle proprie possibilità; non a caso siamo l’unico paese dove la povertà si misura sulla spesa e non sul reddito. Forse uno dei doveri della ricerca universitaria è proprio ridefinire e rinegoziare i criteri di consumo e gli stili di vita verso una maggiore sostenibilità e compatibilità.. ANDREA DE MARTINOSe la carenza materiale può anche essere fronteggiata, il fronte dei disvalori morali costituisce un problema molto serio: abbiamo una serie di indici che ci danno soprattutto nei giovani l’idea di una totale mancanza di rispetto per la persona. C’è una grave lacuna educativa per cui serve un’attenzione alla ricostruzione educativa del tessuto sociale. Tradurre in termini di sicurezza problemi che in realtà sono sociali e di assistenza significa scarso senso di iniziativa. Quando il Prefetto è schiacciato tra l’ordinanza di un Sindaco e la necessità di provvedere, significa che si è stati incapaci di prevenire le forme di disagio sociale. Certo la capacità di prevedere non può prescindere da una maggiore solidarietà nel coordinamento tra istituzioni ed enti addetti, per stroncare sul nascere i motivi di marginalità sociale. ANTONELLA CONIGLIOLa Provincia di Firenze ha un osservatorio sociale che cerca di monitorare i disagi presenti. Solitamente il rischio è di lavorare sull’emergenza anziché sulla prevenzione, mentre il sociale è azione di programmazione e sviluppo che tiene conto delle cause che possono provocare povertà, prima ancora che questa stessa si manifesti. I servizi del territorio subiscono oggi tagli economici al sociale. Credo che siano state investite molte risorse per monitorare, per cui adesso è necessario coordinarci come istituzioni. Per questo l’incontro di oggi è più che bene accetto. La collaborazione sarà massima e la Provincia lavorerà confrontando ed incrociando i dati. DARIO NARDELLAMi pare particolarmente focale definire il povero, che citando Baumann definirei «colui che versa in una condizione caratterizzata non da disoccupazione ma dalla possibilità di sottoconsumo». Il povero non è tanto colui che non ha più un lavoro, ma colui che è considerato un consumatore non adeguato. Nell’Europa premoderna, cristiana, il povero aveva un ruolo molto preciso, legato all’etica della carità: non veniva nascosto, mentre oggi si tende ad esorcizzarlo. Viene cancellato perché scomodo, destabilizzante. Oggi allora il vero tema è come noi istituzioni riusciamo a ricostruire un nuovo modello di welfare. Parlerei allora di due punti. Prima l’educazione, perché la società istruita è meno povera. E qui devo dire che un Paese che taglia sull’istruzione si avvia ad essere più povero e se i Paesi europei sposano una linea di tagli sacrificando l’educazione fanno un errore gravissimo, perché forse metteranno i bilanci a posto mentre poggeranno le basi per una società condannata ad impoverirsi. Per questo il Comune ha istituito ad esempio i centri di alfabetizzazione. Altro punto è la precarietà lavorativa: siamo nel pieno degli effetti della crisi ed abbiamo un tracollo dei consumi alla quarta settimana; i prezzi al consumo si abbassano ed indicano una sorta di deflazione. Le nostre famiglie soffrono la crisi dei consumi e la cassa integrazione in aumento è un dato preoccupante. ALBERTO TESIC’è una povertà materiale, comportamentale, ma io penso anche culturale: in una società in cui la formazione è elevata la povertà è minore. Emblematico è il caso dell’India: fino a 20 anni fa i migliori studenti erano in America, poi il paese è stato in grado di richiamarli ed oggi addirittura esporta i suo talenti professionali negli altri Paesi. L’Italia è invece destinata al declino, soprattutto se la logica è basata su profitto e consumo. Politiche che guardino ad maggiore equità sono le uniche che possono contrastare questo dato. C’è poi il problema della disoccupazione giovanile in aumento; se questo non cesserà, fra 10 anni i fenomeni di povertà andranno ad incidere ancora maggiormente. Ma un nuovo welfare deve riuscire a far sì che una persona che perde lavoro a 45 anni possa in qualche modo adattarsi ad un altro mestiere. Non possiamo permetterci persone che, trovando lavoro a 30 anni, a 45 non riescano a riadattarsi nel caso in cui perdano il lavoro. Credo che i giovani di oggi saranno costretti a fare aggiornamento continuamente nella loro vita. LUCIANA CAPPELLIUn Sindaco l’osservatorio lo vede dalla propria stanza se fa con amore il suo mestiere; innanzitutto si incrociano molte donne, che vengono per i propri figli e per un sostegno economico. Da quando faccio il Sindaco siamo passati da una spesa sociale di 4 milioni di euro, 6 anni fa, ai 10 milioni di quest’anno. Io credo che non ci possiamo più permettere di dare contributi in maniera non mirata e controllata e qui chiamo in causa un’attenzione in particolare della Regione. La comunità empolese grazie ad un sistema di cooperazione sociale è riuscita a rallentare la crisi, però come comuni abbiamo bisogno di ripartire da diritti ed integrazione, altrimenti, se non c’è adeguata conoscenza, nemmeno i diritti vengono affermati. Allora abbiamo bisogno di ritrovare un modello dove si sacrifichi qualcosa per ripartire dalle basilari risposte di dignità e diritti della persona. STEFANO TAGLIAFERRIIl punto di vista della povertà che appare nel mio contesto montano è relativo a distanza, solitudine e quindi a sostanziale difficoltà ad abitare. Nei luoghi che si spopolano come nelle aree a bassa densità di popolazione, la condizione di solitudine può generare una povertà che comporta una difficile risalita. Assistiamo ad una gara alla ripresa che non vede ripartire tutti dagli stessi blocchi di partenza: dobbiamo recuperare l’obiettivo del bene comune altrimenti i nostri sforzi sono solo tamponi. Nessuno può tollerare che qualcuno sia escluso a priori dal poter affermare il proprio diritto alla felicità. Per la comunità montana la principale forma di povertà è la solitudine; in questo senso vedere la fuoriuscita di giovani è un dato che rischia di vedere perdere le forze migliori. LUCIANO BARTOLINILa povertà non è solo un parametro economico: c’è una perdita di valori sia individuali che collettivi. Se non c’è capacità creativa, di innovazione, siamo di fronte a povertà. I figli hanno meno prospettiva dei padri; si può retrocedere indipendentemente dalla classe sociale a cui uno appartiene. Dall’altra parte la risposta stessa delle istituzioni è lenta rispetto ai cambiamenti. Dovrebbero esserci alcune scelte strategiche che sono appannaggio non di un singolo comune o una singola comunità ma di una nazione. Questo è un momento di crisi economica ma anche di scarsità di scelte strategiche. Ma guai se c’è un isolamento da parte di chi ha di più: lo sforzo deve essere quello di fare sentire tutti partecipi in questo processo di rimodellamento del nostro welfare, una risposta che in Toscana può contare su un tessuto associativo straordinario. C’è dispersione di energie per la scarsa integrazione tra realtà di volontariato e tra istituzioni e volontariato. Quando la Caritas pone la questione di rimodellamento del welfare bisogna allora rispondere con un welfare di iniziativa, che venga incontro a quel povero che non verrebbe di propria volontà allo sportello. Cito due esempi positivi del mio Comune: l’affido degli anziani tramite l’individuazione di realtà familiari idonee alla loro accoglienza  e la disponibilità di anziani, che hanno spazi domestici da poter condividere con dei giovani in grado di ricambiare fornendo loro qualche servizio. MONS. GIUSEPPE BETORI«Povertà zero» è un titolo poco evangelico perché Cristo ci ha ammonito che «i poveri li avrete sempre con voi». I cristiani non hanno il compito di azzerare la povertà ma quello di stare con i poveri e di starci nel modo appropriato. La frase viene pronunciata da Cristo quando l’adultera ha speso denaro per ungere i suoi piedi, mentre Giuda lo avrebbe utilizzato per risolvere i problemi economici. Non è perciò lo soluzione puramente economica la risposta alla povertà: dobbiamo pensare se non esistano valori, come ad esempio l’affetto, che incidano contro le forme di povertà. D’altra parte a questo tavolo sono emerse dimensioni immateriali e materiali della povertà, strettamente connesse; qui allora il tema educativo, che la Cei mette a fuoco per il prossimo decennio, riceve una centralità non secondaria. L’altra riflessione che vorrei fare è che il problema della povertà non è un problema di alcuni, dei poveri, perché tutti abbiamo perso qualcosa a causa della perdita di umanità di qualche persona. Concludo dicendo che questa iniziativa dimostra la natura propria della Caritas, vista talvolta all’esterno come un soggetto erogatore di servizi solidaristici, ma che è un soggetto protagonista di un’azione di «coscientizzazione» perché tutti svolgano poi il proprio compito solidale verso gli altri. Il momento che abbiamo vissuto oggi insieme credo appartenga alla propensione specifica della Caritas ed attenga al suo ruolo nella società civile. sintesi a cura di Mario AgostinoLA RICERCA

In 9 mila ai Centri: percorsi sempre più simili tra gli italiani e gli stranieri

Nel 2009 si sono presentati quasi in 9 mila ai 52 Centri di ascolto della Caritas di Firenze. Nella metà dei casi erano uomini stranieri. Ma in quattro anni le donne italiane sono aumentate del 349%, passando da 102 a 458. Adesso gli italiani raggiungono complessivamente il 14% del totale. Nel 2006 erano attorno al 10%.

Ma quello che più colpisce, ha spiegato Annalisa Tonarelli, coordinatore scientifico dell’Osservatorio delle povertà e delle risorse del Dipartimento di scienza della politica e sociologia dell’Università di Firenze, che elaborato i dati dei Centri di ascolto, è che i percorsi degli italiani e degli stranieri che bussano alle porte della Caritas si assomigliano sempre di più.

E l’altro dato che emerge è l’estrema precarietà della condizione sociale. «Non si è tanto ricchi o poveri, ma si può essere alternativamente nel corso dell’esistenza sia l’uno che l’altro». Si registra una crescente vulnerabilità di fasce sociali considerate fino a pochi anni fa al sicuro. Prima si presentavano soprattutto i casi estremi: persone senza fissa dimora, senza lavoro, con marginalità gravi. Oggi arrivano anche tante donne, inserite in una famiglia con presenza di figli, con situazioni abitative normali, come una casa in affitto (nel 62% dei casi tra le donne italiane ma anche nel 44,7% tra le donne straniere). Cominciano a comparire anche uomini e donne che una casa di proprietà ce l’hanno e magari  non riescono più a pagare la rata del mutuo.

Per quanto riguarda l’età, si nota ovviamente una maggiore presenza di giovani tra gli stranieri, ma con l’andare del tempo tende ad aumentare l’età alla quale gli immigrati arrivano in Italia: se nel 1985 era di 25 anni circa, oggi è attorno ai 30. Gli stranieri hanno in genere anche un livello di istruzione più alto: tra le donne, ad esempio, oltre il 50% ha almeno la licenza di scuola superiore (mentre le italiane non arrivano al 30%), con un 11,6% di diplomate e un 9,4 di laureate contro appena il 3,5% delle italiane. Ma colpisce anche un 13,3% di analfabeti tra gli stranieri e un 4,7% anche tra le donne italiane.

Tre le comunità più numerose tra gli stranieri: quella rumena (20%), ormai presente da diversi anni, così come quella peruviana (17%) a cui si è andata ad aggiungere nelle ultimissime rilevazioni quella somala (17%). Altre, come quella albanese (4%) e marocchina (10%), sono sempre consistenti anche se con percentuali decisamente più contenute di prima. Da sottolineare come nel 60% di casi questi immigrati disponessero, a momento del primo ascolto, del permesso di soggiorno. Interessante anche la composizione per genere: tra i somali sono al 90% uomini. All’opposto, l’87% degli ucraini erano donne.

Il modo di approcciarsi al Centri di ascolto è stato definito dalla Tonarelli come «carsico»: c’è in genere un primo contatto, poi passa del tempo, anche abbastanza lungo, e la persona si riaffaccia al Centro. Nel 50% dei casi si presentano solo una o due volte in un anno. Per un quarto dei casi invece si va dalle 3 alle 5 visite.

Le richieste sono soprattutto di tipo economico. Al primo posto – nonostante che per statuto i Centri di ascolto non possano occuparsi direttamente di questo – il lavoro, che non c’è, oppure che è precario, intermittente o insufficiente. Gli stranieri hanno competenze lavorative più elevate, ma che non siamo in grado di valorizzare. Il 60% degli ucraini e il 48% dei bulgari avevano impieghi qualificati nei loro paesi d’origine. Al contrario, il 65% di eritrei o rumeni svolgevano un lavoro non qualificato.

Tra le richieste seguono quelle di alimenti, o di un aiuto alla spesa quotidiana, problematiche abitative, familiari o di istruzione. Ma soprattutto queste persone chiedono di essere aiutate ad orientarsi tra i possibili servizi che il territorio offre.

C.T.