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Clonazione, se la scienza non ha più rispetto dell’uomo

di Marco Doldi Mai la clonazione di un essere umano si era spinta così in avanti. Dagli Stati Uniti arriva l’annuncio sbalorditivo che un gruppo di scienziati americani e sudamericani avrebbero prodotto embrioni umani per clonazione, facendoli sviluppare in laboratorio fino a raggiungere lo stadio di blastocisti, il massimo stadio raggiungibile prima dell’impianto in utero e nel quale è possibile prelevare cellule staminali pluripotenti, ossia cellule bambine, che potenzialmente possono essere fatte sviluppare in ogni direzione, per ottenere diversi tessuti: dalle ossa al sangue, dalla pelle ai muscoli, ai neuroni.

L’obiettivo dell’esperimento sarebbe quello di ottenere dall’embrione la riserva di cellule staminali da coltivare in laboratorio e da usare a scopo terapeutico. Da un punto di vista biologico sarebbe necessario raggiungere lo stadio di blastocisti perché è soltanto in esso che si formano le cellule staminali.

Per ottenere l’embrione, i ricercatori hanno utilizzato una cellula prelevata da una donna adulta e hanno inserito il suo nucleo all’interno di un ovocita in precedenza privato del suo nucleo, prelevato dalla stessa donatrice. A questo punto la cellula adulta si è riprogrammata, regredendo nello sviluppo ed ha avviato il dinamismo per dividersi fino a dare origine ad un embrione. Questi diviene una riserva di cellule, che saranno a disposizione del paziente, cui è diretta la terapia, ed evitare così problemi di rigetto. Le nuove cellule potrebbero infatti essere usate per riparare il tessuto del cuore colpito dall’infarto, quelli delle ossa danneggiati dall’osteoartrite, o ancora quelle di insuline per la cura del diabete, o quelle del cervello per la cura di malattia neurodegenerative come il morbo di Parkinson.

L’esperimento, compiuto dal gruppo coordinato da Wook Suk Hwang, è stato reso noto dalla rivista specializzata “Science Express”. I genetisti sono molto cauti nel commentare la scoperta compiuta. In attesa di conferme autorevoli, tuttavia, è possibile svolgere qualche riflessione, riprendendo alcuni concetti riportati da alcuni giornali in modo acritico, quasi si trattasse di un dogma scientifico. L’esempio più eclatante è la terminologia utilizzata: clonazione terapeutica, clonazione a fini di cura. Essa sarebbe di per sé buona, prescindendo da quello che è realmente: si crea un embrione, cioè un essere umano nella fase iniziale del suo sviluppo, per utilizzarlo come deposito da cui prelevare le cellule adatte a curare il paziente. Il risultato, al quale si vorrebbe acclamare, è quello che le cellule non saranno rigettate dall’organismo ricevente, perché contengono il patrimonio genetico del paziente: donatore e ricevente, contemporaneamente. Secondo Renato Dulbecco si sono avuti “due risultati importanti: si ottiene una cellula che ha tutti i geni presenti nelle cellule di un individuo adulto, mentre l’ovocita contiene solo una metà di tali geni (l’altra metà proviene normalmente dallo spermatozoo); inoltre l’ovocita modificato contiene i geni dell’individuo donatore. Perché quest’ultima differenza è importante? Lo è se si vuole ottenere, dall’embrione che ne risulta, cellule staminali che siano accettate dall’individuo; con il metodo classico non sarebbero accettate, e infine sarebbero distrutte dalle difese immunologiche dell’individuo” (“la Repubblica” 13/02/04).

Purtroppo, per poter realizzare tutto questo occorre mentire sull’identità dell’embrione, introducendo l’errata dizione “embrione precoce”: questo sarebbe soltanto un insieme di cellule e non un essere autonomamente vivente. Fa vibrare i polsi il modo asettico con cui si descrivono questi procedimenti: “finora le cellule staminali umane erano state prodotte da embrioni precoci ottenuti con metodo naturale di fecondazione di ovocita da uno spermatozoo: essi risultavano dal processo di fecondazione in vitro che generalmente produce un numero di embrioni superiore a quello necessario per produrre una gravidanza. È sembrato naturale usare tali embrioni per ottenere un prodotto che può essere utile per sviluppare nuove terapie per malattie inguaribili”.

Davvero la fecondazione assistita è metodo naturale per iniziare una gravidanza? Siamo giunti ad avere, per concepire un embrione, un metodo “classico”, quello della Fivet e uno “moderno”, quello della clonazione? È così naturale utilizzare gli embrioni congelati come risorsa di cellule staminali, dal momento che questo comporta la loro soppressione? E la gravidanza è solo un prodotto da laboratorio? E, poi, che cosa è questa confusione tra embrione precoce ed embrione, deposito di cellule? Preoccupa questa scienza, perché professa da tempo un dogmatismo assolutista e disumano: il frutto del concepimento non merita alcun rispetto.