Cultura & Società
Clemente Terni, il musico francescano
In quello organistico innanzitutto. E non solo per la sua attività come esecutore, ma anche per le competenze tecniche che lo hanno reso prezioso consigliere nei restauri e nella costruzione: su suo progetto la Cassa di Risparmio di Firenze ha fatto costruire il bellissimo organo della propria Sala convegni cittadina di via Folco Portinari. Nell’ambito della musica vocale la sua traccia più profonda Terni l’ha lasciata fondando nel 1950 il Quartetto Polifonico Italiano, poi Quintetto, con il quale ha eseguito musica polifonica in tutta Italia ed Europa e l’ha incisa per varie etichette discografiche. L’attività del gruppo non si è interrotta che da pochi anni, poiché il soprano, mezzosoprano, baritono e basso sono stati sostituiti da allievi del maestro, che ha con loro continuato a cantare come tenore. Solo da qualche anno il Nuovo Quintetto si era definitivamente sciolto per essere sostituito da un Quartetto maschile, formato ancora da Terni e tre suoi allievi.
Il suo impegno come insegnante non si è fermato tuttavia al canto: da dieci anni circa il maestro aveva dato vita ad un gruppo strumentale, l’Ensemble Musica Instrumentalis, formato da suoi ex allievi, che è tuttora in attività e ha eseguito e inciso tutte le composizioni terniane di questi anni. E sul versante della composizione ha formato due eccellenti musicisti, Ferdinando Sulpizi e Fabrizio Bartalucci, dei quali il 14 e 21 dicembre scorsi sono state eseguite le composizioni sacre nella chiesa fiorentina di Santo Spirito.
La figura di educatore di Terni era musicale in senso globale, e non va dimenticato che alla fine degli anni Settanta si è dedicato anche all’educazione musicale dei bambini. Fu un’esperienza che il maestro ha sempre ricordato con grande piacere e orgoglio, che svolse nel Circolo didattico di Barberino del Mugello, dove lavorò sull’apprendimento della musica attraverso le parole (la sua convinta opinione della parola che si fa musica dette origine al titolo dell’esperienza che fu raccolta nella pubblicazione «Dalla parola alla musica»).
Ma la sua scuola ha dato frutti anche nell’ambito della ricerca musicologica e nella divulgazione della musica: nel 1994 Clemente Terni fondò la sezione musica «Matilde Fiorini Aragone» presso la Fondazione «Ezio Franceschini» di Firenze, della quale chiamò a far parte suoi laureati dell’Università di Firenze. Molte e significative sono state le attività scientifiche svolte dalla sezione musica, dai seminari annuali, alle borse di studio per ricerche musicologiche, alla collana La Tradizione musicale edita dalla Sismel, al Bollettino Medioevo musicale fino al Corso di didattica del canto gregoriano che ha diplomato vari allievi in questi anni. Tutte attività di grande merito, che ci paiono la naturale evoluzione del suo lavoro universitario, all’interno del quale non possiamo non ricordare la sua edizione moderna del Laudario di Cortona, incoraggiata da Gianfranco Contini, pubblicata negli anni Ottanta da La Nuova Italia.
Il suo più grande interesse degli ultimi tredici anni tuttavia è stato quello della composizione di opere sacre. Terni aveva composto in passato molti brani soprattutto strumentali, ma dal 1990 aveva scelto un altro genere. Uomo di profonda e sincera fede cristiana, e di spirito francescano, il maestro aveva scelto di esprimere tutto questo attraverso la musica. Così nel 1990 vide la luce il primo di quelli che lui chiamava retablo (termine spagnolo che indica un grande quadro ad olio fatto di tanti piccoli riquadri): Il Figlio dell’Uomo. Ne sono poi seguiti altri otto, tutti dedicati a soggetti sacri e francescani, e tutti sempre concertati da un altro dei suoi allievi storici, Pietro Beni: Frate Francesco, Donna Chiara, Frate Elia, Le Beatitudini, Margherita di Cortona, la lauda ad Itala Mela, Le Clarisse di San Casciano e l’ultima sua fatica, il Paolo Apostolo, eseguita nello scorso novembre a Sesto Fiorentino nella Pieve di San Martino. Quando parlava del Paolo Apostolo Terni diceva che era la naturale continuazione e conclusione del suo primo retablo, era una riflessione su quel Figlio dell’Uomo amato tanto da Paolo come da Clemente Terni. Involontario ultimo lavoro, comunque un altro regalo che ha lasciato alla musica, soprattutto a quella musica sacra che tanto amava e che gli ha consentito di trasmettere con i suoni la sua fede e lo spirito francescano.
Personaggio schivo e riservato Clemente Terni ha svolto le sue tante attività quasi appartato dal mondo musicale dei riflettori. Eppure ha lasciato segni in tanti ambiti, segni profondi e non solo musicali, perché per tanti dei suoi allievi delle varie aree musicali (fra i quali anche chi scrive), il maestro era un faro cui guardare come consigliere di vita, lui che ne ha condotta una rigorosa, retta, spirituale oltre che intellettuale e musicale.
S’è interrotta così, a un tratto e a metà della notte, una consuetudine d’amicizia senz’ombra, che durava da più di mezzo secolo. Era passata da poco la guerra, quando la voce di chi scrive, che era ancora (e sarebbe rimasta per non pochissimo tempo) voce di contralto, fu messa alla prova e trovata decente. Cominciò quel giorno un’avventura che è durata fino a ora. Prima il canto polifonico, in un coro davvero e fino in fondo «popolare» che venne severamente educato alle finezze dell’interpretazione musicale. Poi il gregoriano, felicemente scoperto e studiato giorno dopo giorno (ci si vedeva tutte le sere) come forma alta di preghiera e come tesoro d’un’antica cultura da mantenere vivo e fruibile da tutti.
Ma il regalo più prezioso che Clemente Terni ci ha fatto è stata la sua amicizia: che nel giro di più che cinquant’anni ha forse mutato di forma (dal «lei» del ragazzino al «tu» di chi nel frattempo gli era diventato praticamente coetaneo), ma è sempre rimasta la medesima nella sostanza. Era un maestro, perché di sé (dei suoi pensieri, delle sue convinzioni, dei suoi entusiasmi e dei suoi sdegni) non faceva mistero: era davvero un libro aperto che si offriva con grande naturalezza alla lettura degli amici che si sentivano ed erano suoi scolari.
Non aveva uno dei difetti più diffusi nella corporazione dei professori universitarî, alla quale pur apparteneva: la sua grande e raffinatissima cultura faceva tutt’uno con la sua umanità e questa era totalmente intrisa della spiritualità nella quale respirava. Con un supremo gesto di veracità ha voluto che sulla bara e sul marmo sepolcrale, accanto al nome, fossero scritte le due sole parole che lo possono definire: «musico francescano».