Il centro storico di Cortona è a un passo, ma quassù non c’è traccia del fermento che scuote la giornata di lavoro.L’intima vita della clausura è scandita dal silenzio. Un silenzio che il teologo Thomas Merton sosteneva fosse «più eloquente di tutti i discorsi degli uomini e del chiasso del mondo». E’ il silenzio della preghiera e della pace che non sono sinonimi di rinuncia. Ed è un silenzio carico di speranza: quella speranza cui guarda la Chiesa italiana in cammino verso il Convegno ecclesiale di Verona.Il Vescovo entra nei due monasteri, accompagnato da don Ottorino Capannini, parroco della Concattedrale di Cortona, per uno degli incontri più importanti della sua visita pastorale, giunta al terzo anno. Una tappa oltre le grate che monsignor Gualtiero Bassetti trasforma in un messaggio di rigenerazione per la sua gente abituata forse a vedere nelle monache di clausura le «sepolte vive» (secondo un’ingenua ma forte espressione di uso comune) o le «prigioniere di Dio» (mutuando la formula dalla letteratura).«La nostra scelta – spiega suor Chiara, la madre delle Clarisse – non è molto compresa e può suscitare domande. Ma è un modo per dire all’umanità che il Signore c’è. E la clausura è un segno della presenza di Dio che si manifesta nella contemplazione e nel silenzio». La loro non è una fuga. «E’ una scelta di vita – affermano – Viviamo per essere e siamo per vivere. Non c’è soltanto il fare o l’apparire». Oltre le grate ci sono storie che al di fuori di esse non si sarebbero forse intrecciate. «Il nostro cammino abbraccia età, percorsi di formazione, luoghi e origini diverse. Ma mettiamo tutto nelle mani del Signore: è su di Lui che abbiamo scommesso la nostra esistenza».Quando si sale sulla collina di Cortona e si oltrepassa la soglia della clausura, si potrebbe avere la sensazione di estraniarsi dal vissuto. Nulla di più sbagliato o illusorio. Nel monastero il mondo penetra con tutto il suo carico di drammi e attese. «Da qui – dice suor Chiara Silvia, la suora che ha preso in voti da poco tempo – ci rendiamo conto di essere immersi in un cambiamento epocale. E sentiamo sulla pelle le difficoltà della trasformazione». Però, lo sguardo delle monache non si limita al contingente: va oltre. «Siamo come sentinelle – spiega suor Silvia – Scrutiamo l’orizzonte e cerchiamo la luce del Signore che illumina il buio e lo sconforto. Guardiamo a Lui con certezza che il Signore è sempre vicino all’uomo e che non c’è abisso che sia irraggiungibile per Lui». Ecco l’invito alla speranza che supera i muri della clausura. «Il Signore ci viene a ripescare anche nel profondo del più profondo dove sembra non esserci speranza. Perché Lui conosce le nostre tenebre e non dobbiamo avere paura».Entrare in dialogo con le monache significa tornare alle sorgenti della fede. Spiega suor Maria Colomba, che per anni è stata la madre delle Clarisse di Cortona: «Dice il Signore: senza di me non potete far nulla. Lui ci conosce e ci ama nonostante tutte le nostre iniquità e mancanze. Come giaculatoria ho scelto una frase semplice: “Io credo e basta”. Ed è per questo che ogni giorno va vissuto con fede rinnovata». Una fede che fra pochi giorni verrà alimentata dalla luce della resurrezione e che libererà l’uomo una volta spalancate le porte del sepolcro.E monsignor Gualtiero Bassetti affida alla preghiera oltre le grate la diocesi con il suo carico di problemi e attese. «Stiamo attraversando una crisi complessa – spiega il Vescovo alle religiose delle due comunità – E’ un momento problematico ma allo stesso tempo affascinante. Perché c’è bisogno di provocare l’alba di Dio».Una delle questioni «calde» che tocca monsignor Bassetti è quella del lavoro. «Viviamo una congiuntura negativa – afferma – Sette anni fa, quando sono arrivato ad Arezzo, la diocesi era una delle più floride dell’Italia centrale. Poi sono cominciate ad emergere le difficoltà nel settore orafo, nell’abbigliamento, nella grande industria e persino nell’artigianato. Le ripercussioni sono preoccupanti. Le famiglie hanno problemi ad arrivare alla fine del mese con i loro stipendi; alcuni anziani confidano di mangiare per alcuni giorni soltanto pane e latte perché le pensioni non sono più sufficienti; i giovani sono alle prese con la precarietà che prolunga l’adolescenza e non permette loro di formarsi una famiglia». Drammi che si trasformano in richieste sempre più pressanti di aiuto alla Caritas e al Vescovo.E monsignor Bassetti li consegna idealmente alle comunità monastiche. «Nella clausura – afferma di fronte alle religiose – si vive la Chiesa della pentecoste che parla il linguaggio dell’amore ed è un emblema di fraternità evangelica».di Giacomo Gambassi