Cultura & Società
Cipollini, un toscano in cima al mondo
Il successo toscano è anche un successo dello staff: del commissario tecnico Franco Ballerini, del «mitico» Alfredo Martini, del loro fedele assistente Franco Vita. Cipollini è stato superbo in volata, tutta la squadra ha tenuto in mano la gara per arrivare a quell’epilogo in cui super-Mario non ha rivali. Il percorso belga era ideale per un velocista, la corsa è filata via a velocità record e gli azzurri sono stati implacabili nel braccare i fuggitivi di giornata. Gli altri possibili vincitori hanno sacrificato le ambizioni personali per portare Cipollini allo sprint, è stato esemplare il «treno» fatto all’ultimo chilometro da Alessandro Petacchi. Poi è stata la volta di Giovanni Lombardi, come in quasi tutte le volate vincenti di quest’anno: era lui l’ultimo uomo a tirarsi da parte per gli ultimi 150 metri di velocità pura, l’accelerazione di Cipollini ancora una volta ha tolto dalla ruota ogni possibile rivale: il gesto atletico che il compianto Adriano De Zan chiamava la rasoiata finale.
A consegnare la maglia iridata c’era addirittura sua maestà il re del Belgio: un sovrano vero per Re leone. È stata la vittoria numero 181 di Cipollini. Nessuno, tra gli atleti in attività, ha vinto tanto. Tra i vittoriosi di sempre, è preceduto solo da Moser e Saronni. Quest’anno si è superato: ha vinto la Milano-San Remo, la classica vanamente inseguita; poi nella Gand-Vewelgem trionfava in modo inconsueto, fuggitivo solitario per raggiungere un gruppetto e batterlo allo sprint. Al Giro d’Italia con sei tappe vinte si è portato a quota 40, una in meno del record di Binda. In estate, a sorpresa, Cipollini spiazzava tutti annunciando il ritiro, deluso dai francesi che non l’avevano voluto al Tour e dai suoi sponsor. Però Re leone, da quel bravo show men che è diventato, ha saputo tornare alla ribalta nel migliore dei modi: fiducia degli sponsor, squadra nazionale al suo completo servizio, allenamenti duri che gli hanno dato una condizione eccellente. In passato, arrivato a luglio, Cipollini staccava col ciclismo per fare il vacanziero in Versilia. Ora è maturato, pur restando uno zuzzerellone toscano, un bel tipo a cui piace piacere e che si esalta quando c’è da far baldoria; è padre amorosissimo di due bambine, Lucrezia e Rachele.
Quando nacque la prima, durante un Giro d’Italia, fece la tappa con un fiocco rosa legato al manubrio, poi raggiunse in elicottero all’ospedale la moglie Sabrina. Finora non aveva mai vinto una corsa che si rispetti in autunno, quella che poteva essere la stagione del tramonto è stato l’anno più esaltante. Adesso gli si aprono nuove prospettive di sponsor e di gloria. Ha detto che sogna un’altra San Remo e altre tappe al Giro. Poi staremo a vedere, l’immagine più bella sarebbe un Cipollini in gran spolvero al Tour de France, primo a braccia alzate sotto l’Arco di trionfo. Cipollini, dicevamo, consegna idealmente il testimone al conterraneo Francesco Chicchi. La differenza di età comporta un’assunzione di responsabilità da parte di Cipollini e di tutto il ciclismo. Quale sarà il futuro sportivo di Chicchi? Vogliamo augurargli una altrettanto brillante carriera, ma non possiamo fare gli struzzi.
Il trionfo di Cipollini chiude bene una bruttissima stagione. Non dimentichiamo le tristi vicende del doping, il rischio di stop totale al giro d’Italia, l’inquinamento chimico e morale che serpeggia nel ciclismo e in tutto lo sport, giovani amatori inclusi. Quando scoppia un «caso» sono in molti, in troppi a tirarsi fuori dicendo di non sapere nulla. Il malato è grave e la guarigione non può dipendere solo dagli atleti, ma non può avvenire senza di loro. Dirigenti, sponsor e giornalisti possono fare la loro parte per risanare l’ambiente, abbassare la competitività esasperata, mettere l’etica davanti al tornaconto. Lo sport è lo specchio della società. Già parecchi anni fa i Vescovi italiani scrissero che ci siamo abituati a vivere al di sopra delle nostre possibilità. Parlavano a tutto il paese, ma può essere un pensiero pertinente per il mondo dello sport. Vincere è bello se insegna a vivere, ma non bisogna barare. E, vincendo qualche volta, imparare anche a perdere, a stare nel gruppo, a non dimenticare chi resta indietro.
Il secondo è, appunto, Franco Ballerini, mugellano nato a Firenze e ora trapiantato a Casalguidi di Pistoia, fino a poco fa indiscusso «Mister Roubaix» con due vittorie all’attivo nella superclassica francese e altre sfuggite per ingenuità o sfortuna. In un anno e mezzo da ct ha inanellato un argento e un oro, scusate se è poco, ed entrambi toscani. Già, perché l’argento dello scorso anno fu di Paolo Bettini, che, pur potendo anche lui nutrire legittime aspirazioni iridate, ha compiuto a Zolder il suo capolavoro di sportività mettendosi umilmente a servizio di Re leone e marcando stretto Museeuw quando ha provato a fare qualcosa.
Infine Luca Scinto da Galleno di Fucecchio, anche lui gregario attivissimo e campione anche nel far gruppo con le sue battute. Un merito che lo stesso Cipollini gli ha riconosciuto in diretta la sera del trionfo.