Opinioni & Commenti
Ciò che serve davvero al Sud
Tra le tante divisioni che il nostro Paese ha bisogno di ricucire, quella tra il Nord e il Sud è forse la più macroscopica e sicuramente quella che da più tempo l’Italia si porta dietro. In pratica sin dalla sua nascita come Stato. Una patologia di così lunga durata, pur con le fasi alterne che segnano tutte le vicende umane, rischia di apparire come un male ormai cronicizzato, inguaribile nelle cause, di cui al massimo si possono gestire i sintomi. La tentazione dello scoraggiamento è sempre dietro l’angolo, ma ci sono anche dei momenti che gettano una luce diversa sulla realtà, aiutano a cogliere risorse e fermenti che vivono sotto la coltre dei pregiudizi e fanno emergere motivi di speranza per le persone e per le comunità. Il via all’esperienza di Matera capitale europea della cultura è uno di questi momenti. «Questa città è un simbolo del Mezzogiorno italiano che vuole innovare e crescere, sanando fratture e sollecitando iniziative», ha detto il presidente Mattarella nel corso della cerimonia inaugurale. Matera, che «nell’immediato dopoguerra teneva insieme la sua struggente bellezza e condizioni di estrema povertà» oggi diventa motivo di «orgoglio» per tutta l’Italia che «vede una delle sue eccellenze all’attenzione dell’intero Continente».
Un’opportunità straordinaria che cade però in un momento tutt’altro che favorevole sul piano della politica nazionale. A metà febbraio arriverà la proposta del governo alle tre regioni che hanno chiesto l’«autonomia differenziata»: Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. In gioco c’è un trasferimento di poteri su oltre 200 materie per un valore complessivo che in teoria può arrivare fino a 21,5 miliardi. La questione è giuridicamente complessa, trasversale sul piano politico (due regioni sono a guida leghista, una a guida Pd, e nello stesso governo Lega e M5S hanno posizioni diversificate) ma avrà inevitabilmente un impatto su tutto il Paese. Lo Svimez, sulla base di quanto finora emerso dal confronto in atto, ha già indicato il rischio di penalizzare ulteriormente il Mezzogiorno.
Quanto alla legge di bilancio, in essa si rispecchia fedelmente la divisione Nord-Sud. Quota 100 per le pensioni, che presuppone una vita lavorativa lunga e costante, è una misura che troverà applicazione soprattutto nelle regioni settentrionali. Non è un caso che, al momento del varo del decreto-legge attuativo, il leader leghista Salvini abbia voluto esibire in conferenza stampa un cartello in cui compariva soltanto quota 100 e non anche l’altra misura chiave del provvedimento, il reddito di cittadinanza. Quest’ultimo, voluto fortemente dal M5S, sarà erogato principalmente nelle regioni del Sud (è già stato calcolato che Campania e Sicilia faranno la parte del leone) laddove le dichiarazioni Isee sono mediamente più basse. Ora, che vadano più soldi nelle aree dove i redditi sono più bassi è del tutto ragionevole (ma per equità bisognerebbe tener conto anche del costo della vita e del sommerso). La domanda cruciale, però è un’altra: il reddito di cittadinanza è veramente ciò che serve a quel Mezzogiorno che «vuole innovare e crescere, sanando fratture e sollecitando iniziative»?