Cultura & Società

Cinquant’anni che hanno cambiato l’Italia

di Gianni Borsa

Mezzo secolo di tv, fra intrattenimento, cultura, informazione e crescenti banalità. Nei giorni scorsi la Rai ha celebrato i cinquant’anni del servizio pubblico televisivo che – nel bene e nel male – ha accompagnato l’Italia dal dopoguerra a oggi. Ne parliamo con Giorgio Vecchio, docente di Storia contemporanea all’Università di Parma, studioso del mondo cattolico, il quale ha dedicato diversi studi all’impatto dei mass media sulla società italiana.Professor Vecchio, qual era la situazione del Paese che accolse le prime trasmissioni tv in quel lontano 3 gennaio 1954? “L’Italia di allora era ancora alle prese con la lunga ricostruzione post-bellica; gettate le fondamenta della democrazia, stavano lentamente trasformandosi i costumi. La società rurale avrebbe presto lasciato il posto a una economia industriale. Le sacche di povertà erano molte, numerose anche le fasce di popolazione analfabeta”.Quali discontinuità portò con sé il tubo catodico?“All’inizio la novità dello strumento e l’elevato costo dell’apparecchio limitarono la diffusione del televisore nelle case. Ben presto si diffuse una sorta di ascolto collettivo: la gente si ritrovava soprattutto nei bar per vedere Lascia o raddoppia? e persino i cinema furono costretti a dotarsi di tv per evitare la platea vuota. Numerosi programmi e personaggi entrarono in poco tempo nell’immaginario collettivo, contribuendo a fare la storia della tv. Basti ricordare Mike Bongiorno con i suoi quiz, ma anche Mario Riva, presentatore de Il musichiere. E poi Enzo Tortora e ancora Bongiorno con Campanile sera. Vanno ricordati i successi del Festival di Sanremo, di Canzonissima, di tanti sceneggiati girati per il pubblico televisivo”. Ci furono programmi in grado di segnare il costume nazionale?“Direi che, naturalmente a vario livello, furono importanti i programmi di informazione, dal telegiornale a Tribuna politica. Citerei La posta di Padre Mariano, rubrica domenicale a carattere religioso, che rese il frate uno dei primi divi della tv; Non è mai troppo tardi, con il maestro Alberto Manzi, che si proponeva di insegnare a leggere e scrivere agli adulti analfabeti; L’amico degli animali, di Angelo Lombardi. Una segnalazione a sé merita Carosello: per vent’anni, dal ’57 al ’77, con i suoi spot sotto forma di scenette, ha portato nelle nostre famiglie la pubblicità di migliaia di prodotti, contribuendo a far crescere il consumismo e ad affermare slogan e comportamenti di massa. A quanti bambini, per esempio, è stato detto: Dopo Carosello si va a nanna? E chi non conosce Topo Gigio (inventato per la réclame della Movil), Calimero (emblema della Mira Lanza) o lo slogan Basta la parola del Confetto Falqui?”. Gli effetti furono dunque profondi, per certi aspetti inattesi…“Gli abbonamenti Rai si moltiplicarono (erano poco più di ventimila nel ’54, passarono a due milioni nel ’60 e a sei milioni cinque anni più tardi); si avviò una unificazione del linguaggio; la televisione impose le stesse battute e medesimi gusti dalle Alpi alla Sicilia; mise anche in discussione molte abitudini tradizionali, modificando l’uso del tempo libero e le mode. Pensi le reazioni che poterono suscitare nella mentalità dell’epoca, soprattutto in alcune aree della penisola, gli atteggiamenti disinvolti e le gambe scoperte delle gemelle Kessler!”. Come reagì l’establishment del Paese? Quali i giudizi della Chiesa? “Ci furono posizioni contrastanti, c uriosità e diffidenza camminarono di pari passo. Molti intellettuali snobbarono il nuovo mezzo di comunicazione perché massificante. Il Partito comunista intravide nella tv un ulteriore strumento nelle mani del capitalismo e della propaganda governativa democristiana. Anche il mondo cattolico non ebbe sempre un rapporto equilibrato con la tv: una rilettura degli interventi della gerarchia rileva per lo più atteggiamenti di diffidenza culturale e moralistica o, viceversa, speranze ben presto rivelatesi illusorie. Due giorni prima dell’avvio delle trasmissioni Rai, Pio XII rivolse un appello all’episcopato italiano. Egli sottolineava in quel testo i caratteri positivi della nuova ‘luminosa conquista della scienza’ e segnalava il carattere familiare del mezzo. Secondo La Civiltà Cattolica l’apparecchio televisivo sarebbe stato per la famiglia riunita ‘qualcosa come il focolare di una volta’. D’altra parte stavano numerosi pericoli contro cui il Papa metteva in guardia, in relazione alla “potenza suggestiva” della tv. Da qui un preciso appello alle autorità pubbliche per un severo controllo sulle trasmissioni e sui loro messaggi. Questi interventi precedettero di poco la pubblicazione dell’enciclica Miranda prorsus espressamente dedicata ai mass media, apparsa l’8 settembre 1957, che ribadiva la fiducia della Chiesa nel cinema, nella radio e nella televisione, a condizione che questi potessero diventare anche strumenti culturali, educativi e pastorali”.