Vita Chiesa
Cina, il dialogo con il Vaticano esige chiarezza
Nuova ordinazione episcopale in Cina. Ma questa volta, riferisce l’agenzia AsiaNews, si tratta di un rito celebrato in piena unità con il Santo Padre e con la Santa Sede. Domenica 7 maggio, nella cattedrale di Shenyang (nel Nord-Est della Cina), padre Paolo Pei Junmin, 37 anni, è stato consacrato vescovo coadiutore con diritto cioè di successione di Shenyang dal suo ordinario, mons. Jin Peixian. Il vescovo è uno dei quattro prelati invitati lo scorso anno a partecipare al Sinodo dei vescovi e che non ha potuto raggiungere Roma perché il governo non gli ha rilasciato il permesso. L’ordinazione del giovane coadiutore è avvenuta pochi giorni dopo l’ordinazione di altri due vescovi compiute senza l’approvazione della Santa Sede e in seguito alle quali c’era stata una dichiarazione molto chiara del portavoce Navarro Valls. La dichiarazione vaticana citava forti pressioni e minacce a cui erano stati sottoposti i vescovi ordinandi e i candidati. Fra le persone minacciate c’era pure il vescovo di Shenyang, mons. Jin Peixian che ha poi invece presieduto l’ordinazione di padre Pei. Ne parliamo con padre ANGELO LAZZAROTTO, missionario del Pime, per 15 anni ad Hong Kong, conoscitore del popolo cinese.
L’ordinazione di padre Pei era un evento previsto oppure può considerarsi un’evoluzione rispetto alla dichiarazione di Navarro?
Era certamente prevista, nel senso che queste cose non si improvvisano da un giorno all’altro. Credo che il vescovo di Shenyang ha chiesto di poter avere un coadiuvatore, e ne aveva certamente parlato da tempo sia con Roma sia con le autorità politiche locali per poter scegliere un candidato che fosse gradito non solo a Roma ma anche alle autorità. Il fatto però che abbia potuto realizzare questa sua richiesta e ancor più che questa ordinazione sia stata fatta proprio all’indomani d i una crisi tra Roma e Pechino, è certamente significativo.
Questo vuol dire che le parole della Santa Sede hanno colpito nel segno?
Si può dire, ma non è detto. La Cina è un Paese enorme e il governo ha mille problemi e sono problemi di una vastità che noi non possiamo nemmeno immaginare. Per cui il problema religioso in Cina è visto dalle autorità di Pechino da lontano e, in questo ambito, le autorità locali hanno spesso molto spazio di azione. Può essere allora che a Pechino sia stato registrato almeno me lo auguro questa presa di posizione della Santa Sede e che magari abbia detto una parola alle autorità locali chiedendo di non tirare troppo la corda. Ma noi questo non possiamo saperlo, è solo una speranza.
È la speranza che il filo del dialogo non si spezzi?
Continuare il dialogo. È quello che tutti si aspettano e desiderano, a cominciare dai sacerdoti e dai vescovi della Repubblica popolare cinese che da 50 anni stanno soffrendo per una mancanza di piena libertà religiosa che il governo ha sempre detto di voler concedere ma che poi nei fatti è limitata. La politica religiosa che si sta attuando in Cina è inaccettabile perché considera i diritti civili come una concessione del governo alla popolazione più che un diritto naturale dell’individuo.
Quando si parla di forti pressioni e minacce che cosa intende?
Non lo so. So che quando la comunità cattolica e i sacerdoti si ritrovano uniti e compatti nel gestire bene il futuro di una Chiesa locale, hanno saputo anche non cedere alle pressioni dell’associazione patriottica e alla fine le autorità locali hanno ceduto. Ci sono poi casi in cui sono stati eletti vescovi che sono riconosciuti sia dalla Santa Sede sia dal governo. Ma ci sono a nche altri casi in cui l’associazione patriottica interferisce spingendo la scelta in una maniera e nell’altra. Le situazioni locali sono diversissime e ci sono mille occasioni per ricattare. Nel caso dei due vescovi, i membri della associazione patriottica hanno voluto fare un’azione di forza imponendo uno status quo e mettendo la Santa Sede di fronte a un fatto compiuto.
Casi del genere ce ne saranno ancora. Come se ne potrà uscire?