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Cile: Gabriel Boric è il nuovo presidente. Il Paese volta pagina, ma la strada non è in discesa
La Chiesa chiede “vie di dialogo”
Il nuovo presidente cileno è Gabriel Boric, con il 55,87% dei voti. Il trentacinquenne ex leader studentesco, in questo mese, si è sforzato in ogni modo di dare di sé un’immagine rassicurante e moderata, a dispetto dell’appoggio, tra gli altri, del Partito comunista. Se i cileni avessero scelto l’altra strada, del resto, il presidente sarebbe stato ancora più “estremo”, José Antonio Kast, leader della destra radicale, contrario alla Costituente, in gioventù simpatizzante di Pinochet. Due opzioni che più diverse non potevano essere, ciascuna delle due non priva di incognite, anche pesanti. È l’alternativa alla quale i cittadini cileni si sono trovati di fronte, nel ballottaggio di ieri per le elezioni presidenziali: da un lato, spingersi oltre sulla strada intrapresa circa due anni fa, con la protesta sociale che aveva messo in discussione, in alcuni casi in modo violento, le diseguaglianze frutto di un modello economico liberista, risalente ai tempi di Augusto Pinochet e mai realmente corretto. E proseguire, dunque, con l’esperienza della Costituente. Dall’altro lato, invece, tornare indietro con le lancette di due anni, e forse anche di più.
I cittadini hanno scelto, con nettezza e chiarezza, la prima strada, in fondo la più logica e coerente, anche se, come accennato, non priva di rischi: il nuovo presidente è, dunque, Gabriel Boric, con il 55,87% dei voti. Il trentacinquenne ex leader studentesco, in questo mese, si è sforzato in ogni modo di dare di sé un’immagine rassicurante e moderata, a dispetto dell’appoggio, tra gli altri, del Partito comunista. Se i cileni avessero scelto l’altra strada, del resto, il presidente sarebbe stato ancora più “estremo”, José Antonio Kast, leader della destra radicale, contrario alla Costituente, in gioventù simpatizzante di Pinochet. Un’ombra che lo ha inseguito per tutta la campagna elettorale, e ancor più dopo la sorprendente vittoria al primo turno, e che si è ingigantita proprio in dirittura d’arrivo, con la morte, avvenuta giovedì scorso, a 99 anni, della moglie del dittatore, Lucía Hiriart Rodríguez, considerata la “lady di ferro”, con un ruolo fondamentale nel forgiare il profilo dello spietato dittatore.
“La morte della vedova di Pinochet non ha mio avviso portato voti alla destra, anzi probabilmente è avvenuto il contrario, anche se la mia è solo una congettura”, afferma Luis Horacio Franco Gaviria, docente in Filosofia morale e politica all’Università del Cile, attualmente ricercatore del gruppo Phyloiuris dell’Università Libera di Colombia – sede di Cali, coordinatore di progetti di cooperazione internazionale e ricercatore dell’ong Aculco di Madrid, dove vive in questo momento. Secondo il docente, “quanto è accaduto ha ravvivato la memoria di quella stagione, con il suo carico di lutti per il Paese. Nessuno vuole tornare indietro a quegli anni. In generale, oggi, l’elettorato ha poca memoria. Ma se accade un fatto come quello della morte della signora Pinochet, ecco che d’un tratto la memoria torna. Tutti sanno che un tempo Kast ha manifestato simpatia per Pinochet, per il modello thatcheriano, e più recentemente per Bolsonaro”. Secondo Franco Gaviria, “il candidato della sinistra ha avuto in queste settimane una strategia chiara per rimontare lo svantaggio rispetto a Kast, si è concentrato sui giovani, molti dei quali avevano disertato le urne al primo turno, e sulla gente comune. Kast, viceversa, ha cercato di tessere alleanze con gli sconfitti, in particolare con il terzo classificato, l’economista Franco Parisi. Una scelta, quella di Boric, coerente con il suo profilo, cioè di essere il candidato che dava voce alla protesta di questi due anni. A lui la gente ora chiede di non interrompere il processo della Costituente, e di garantire maggiori servizi pubblici, una scuola di qualità”.
Insomma, anche se di misura, la scelta dei cileni va nella stessa direzione del voto di qualche mese fa per la Costituente. In questo senso si possono leggere le prime parole di Boric, al quale sono subito andate le congratulazioni del suo avversario e del presidente uscente Sebastián Piñera: “Il mio impegno di ogni giorno è proteggere la democrazia come sostantivo, nei quartieri, con un piede nella strada, perché il palazzo della Moneda è della gente, le organizzazioni sociali devono essere protagoniste”. Ma questo non significa che per il nuovo presidente la strada sia in discesa. In primo luogo, egli dovrà fugare i dubbi sul suo reale profilo riformista. “In passato – ricorda Franco Gaviria –, Boric ha espresso simpatie per il Governo venezuelano di Maduro”. Inoltre, “la situazione politica, sociale, ed economica è davvero complessa, anche a causa della pandemia. E Boric dovrà comunque moderare la sua proposta e negoziare con un Parlamento dove non avrà una maggioranza precostituita”. Sullo sfondo, la fortissima polarizzazione, che il ballottaggio ha confermato, dato che Kast ha comunque vinto in molte zone periferiche del Paese. Una tendenza, del resto, di tutto il Continente: “È il frutto del discredito della politica, in America Latina e non solo. Non si vota tanto a favore, ma contro il candidato che si vuole evitare”.
La Chiesa chiede “vie di dialogo”. In ogni caso, si apre una nuova pagina per il Cile, ed è positivo che ciò sia avvenuto con una maggiore partecipazione rispetto a un mese fa. La stessa Chiesa, alla vigilia, aveva invitato ad andare a votare. Lo aveva fatto la Conferenza episcopale, e tale invito era stato ribadito con forza da alcuni vescovi, come mons. Fernando Chomali, arcivescovo di Concepción, che ha parlato di momento “delicato ma anche interessante”, e mons. Luis Infanti della Mora, vescovo del vicariato apostolico di Aysén, che ha anche sottolineato: “Il potere non è centrato solo nella dimensione economica”. Da qui la necessità di ascoltare la voce della società civile, che chiede politiche sociali più attente alle fasce deboli della popolazione. “È il fallimento del modello liberista dei Chicago boys”, commenta l’esperto di diritti umani Cristiano Morsolin, secondo il quale, “come afferma mons. Infanti, si apre una nuova sfida, che ha come sfondo le ‘tre T’, tierra, techo e trabajo (terra, casa lavoro) di papa Francesco e la lotta alla povertà”. Restano, in ogni caso, le richieste fatte alla vigilia dalla Conferenza episcopale al nuovo presidente: “Gli chiediamo di governare per tutti i cileni, cercando vie di dialogo, intesa, giustizia e fratellanza”. Ribaditi nel saluto che, immediatamente, la Conferenza episcopale ha rivolto al nuovo presidente nella tarda serata cilena: “Il Paese le ha espresso un voto di fiducia e le affida una grande missione, destinata a dirigere il destino del nostro Paese come prima autorità e primo servitore”. Dal canto suo, “la Chiesa cilena vuole continuare a contribuire, dalla sua particolare missione, alla costruzione di un’umanità più giusta e fraterna, dove soprattutto i poveri e coloro che soffrono siano rispettati nella loro dignità. Conti sul nostro sostegno e sulla nostra preghiera, e sul contributo della nostra azione pastorale, che svolgeremo sempre nel rispetto dell’ordine democratico del nostro Paese e delle sue autorità legittimamente elette”.
*giornalista de “La vita del popolo”