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Cile: 10 morti per le proteste contro il rincaro dei trasporti. Coprifuoco e carrarmati sulle strade. I vescovi, «dovere di tutti fare uno sforzo straordinario»
Già grave il bilancio degli scontri iniziati venerdì scorso in varie città del Cile per le proteste contro l'aumento dei prezzi di alcuni servizi deciso dal governo. Coprifuoco e carramati per le strade. I vescovi invitano al dialogo.
Dieci morti, la capitale Santiago paralizzata per le proteste violente, danni alla metropolitana, che è stata chiusa, militari e carrarmati che presidiano le strade, con il conseguente coprifuoco notturno, misura che non si verificava fin dai tempi di Pinochet, saccheggi in supermercati e negozi, roghi e barricate. È il provvisorio bilancio dei disordini scoppiati venerdì in Cile a Santiago ed estesi durante il weekend altre città del Paese, in particolare a Concepción, Rancagua, Punta Arenas, Valparaíso, Iquique, Antofagasta, Quillota e Talca.
La causa delle proteste è l’aumento dei prezzi di alcuni servizi e in particolare il provvedimento che ha causato il rincaro dei trasporti pubblici a Santiago. Il presidente Sebastián Piñera ha congelato i provvedimenti, in attesa, ha detto di poter garantire la sicurezza dei connazionali, e ha detto ieri: «Siamo in guerra contro un nemico potente». Il bilancio dei danni è impressionante, i manifestanti hanno distrutto tutto quello che vedevano: 71 stazioni della metropolitana, 30 autobus, hanno devastato palazzi, anche alcune chiese. Si spera di riaprire al più presto il servizio dei trasporti. Dieci, come accennato, le vittime, 5 delle quali morte all’interno di una fabbrica incendiata nella periferia nord di Santiago; altre 2 persone sono morte nel rogo di un supermercato a San Bernardo, città satellite a sud della capitale. Difficile pensare a manifestazioni spontanee. Minoranze di estrema sinistra e anarchiche hanno sempre mantenuto una cerca consistenza in quello che, nonostante i forti squilibri, è il Paese per molti aspetti più avanzato e occidentalizzato dell’America Latina.
Forte preoccupazione è stata espressa in un comunicato dal Consiglio permanente della Conferenza episcopale cilena (Cech), che ha definito «particolarmente grave» quanto accaduto, sia per le sue cause, sia per come si sono svolti i fatti, sia per gli effetti». Secondo i vescovi «è dovere di tutti, e specialmente delle autorità e dei dirigenti sociali, fare uno sforzo straordinario, per scoprire le cause e cercare strade di soluzioni, che non si realizzeranno senza la partecipazione della maggioranza della popolazione». Nel comunicato si afferma che gli «eventi dolorosi e traumatici rappresentano un invito urgente a continuare a creare una cultura di incontro e comprensione, in grado di ascoltare e provare empatia rispetto alle sofferenze e ai disagi quotidiani della società cilena per quanto riguarda il lavoro, la salute, la sicurezza dei cittadini, l’istruzione, la casa, le pensioni, la povertà e le sfide umanitarie dell’immigrazione, tra gli altri».