Prato

Chiesanuova: “Difendiamo la chiesa del cimitero”

di Fabio BarniIl quadro con San Michele, sopra l’altare, è una copia. Dentro la chiesa con tetto a capanna e costruita con ciottoli del Bisenzio, «non c’è rimasto nulla da rubare». L’ammissione, sconsolata, è di don Serafino Romeo, il parroco di Santa Maria dell’Umiltà a Chiesanuova. La chiesa in questione, depredata e impiegata per scorribande o bravate notturne, è quella del vicino cimitero. Il più grande di Prato. La chiesa, in fondo al viale di cipressi, accoglie chi fa visita ai suoi cari e chi, specie la domenica mattina, prende parte alla messa. Nacque povera e sobria, come si conviene a una chiesa di camposanto. Ancor più povera si ritrova adesso. Al punto che, per difenderla, a molti non è rimasto altro da fare che raccogliere le firme.La petizione è partita domenica mattina, durante la messa. A sottoscrivere i fogli protocollo, che saranno consegnati in Comune, sono già stati in 50, o giù di lì. Chiedono che s’intervenga sul serio, perché le sollecitazioni agli uffici comunali sono già state molte e non sono mancati gli interventi dei carabinieri. All’inizio, dentro la chiesetta si rubava. Adesso non più. La gente, certa gente, continua a entrare nottetempo. Solo che da prendere c’è rimasto poco o nulla.«Sapere che qualcuno viene qui ed entra quando vuole non ci lascia però tranquilli», riprende don Serafino. «Celebriamo messa, all’interno della chiesa, e non è bello sapere che poche ore prima c’è stato qualcuno a fare chissà che cosa». Beninteso, niente furti d’opere d’arte né messe nere come qualche giornale scandalistico potrebbe con facilità ipotizzare. Mancano i segni e lo stesso parroco della Chiesanuova pensa «più che altro a tossicodipendenti» che trovano rifugio per drogarsi o per trascorrere la notte.«Avrei aspettato un po’ a indire la raccolta di firme – continua il sacerdote – perché la responsabile del cimitero, quando le abbiamo fatto vedere le prove che qualcuno era entrato e quando sono venuti i carabinieri, c’è rimasta davvero male. Avrei aspettato che qualcosa si muovesse. Però, le firme vengono già raccolte e va bene così». Anche perché la situazione non è gradevole, come detto, e gli episodi strani vanno avanti da tempo. «Dalle mie finestre vedo il cimitero e la chiesa», racconta ancora il parroco. «In piena notte, mi capita di vedere le luci accese». E a volte il parroco ha pure controllato. Senza trovare nessuno, «segno che se le scordano accese, indisturbati». Non solo. «Mi è capitato di trovare aperto anche il cancello del cimitero», aggiunge don Serafino. Edificio consacrato e terra consacrata sembrano insomma divenute terre di nessuno, dove nulla è permesso ma tutto ciò che è vano si può fare, come usava ai tempi del muro di Berlino, tra i Paesi d’occidente e quelli dell’oriente europeo.Paragoni a parte, e solo in parte appropriati, la chiesetta non se la passa bene ed è un po’ trascurata. Il parroco ne ha pure raccolto la prova. «Mi assicurano che la chiudono ogni sera. Ebbene, una volta, insieme ai carabinieri, abbiamo trovato del nastro da elettricista infilato nella serratura», conclude don Serafino. «Se avessero chiuso a chiave, dando le mandate, se ne sarebbero accorti. Invece, è chiaro che hanno semplicemente chiuso la porta, senza serrarla».Avanti con la petizione, allora, benché il sacerdote della parrocchia più vicina sia un inguaribile ottimista. «Avrei preferito aspettare un po’», ripete.Fabio Barni E le lapidi rotte portano via la memoria dell’800Sulla porta della chiesa del cimitero, c’è l’immagine d’una telecamera. Serve a poco. Non dissuade chi entra nel cuor della notte all’interno dell’edificio consacrato né scaccia l’umidità che sta diventando un serio problema. Piove, in certi punti, anche dal soffitto e, come sostengono i promotori della raccolta di firme, la chiesetta ha bisogno di manutenzione oltre che di maggiore vigilanza. Basta uscir fuori e percorrere il perimetro ottocentesco del camposanto, però, per rendersi conto che a Chiesanuova c’è di peggio: lapidi spezzate, lapidi che non si potranno più accomodare perché i loro frammenti sono in parte andati perduti. In altra parte, invece, sono stati raccolti. Fermo restando che quelli più grandi sono stati adagiati al muro di cinta, accanto ad altri monumenti funebri. Capita così di trovare, ai piedi del monumento al grande tenore Tobia Bertini, un paio di lapidi provenienti da poco lontano. Capita soprattutto, con la cancellazione di fatto delle parole e degli stessi nomi che ricordano la Prato di fine Ottocento e dell’inizio del Novecento, di perdere la memoria storica della città. Perché un cimitero, è giusto ricordarlo, è anche questo.Per vie traverse, s’apprende che in Comune ci sarebbe voglia di mettere mano alla parte storica, per valorizzarla. Per l’assessore Roberto Caverni è però un cruccio: non ci sono i soldi. E lo stesso vale per la titolare della delega alla cultura, Anna Beltrame, che potrebbe trovarsi tra le mani un piccolo Staglieno (il famoso cimitero monumentale di Genova) ma, nei fatti, non può. Anni addietro – giunte di centrosinistra – era quasi pronto, con tanto di rilievi fotografici, un progetto di recupero. Non se ne fece di niente e tante delle tombe o delle lapidi fermate allora su pellicola sono adesso andate definitivamente in malora. Va detto, poi, che non tutti i «titolari» di tomba nel quadro monumentale sono davvero (o ancora) sepolti lì. Ma poco cambia. La memoria se ne va poco a poco, con fotografie di figlie che scivolano su quelle delle madri, marmi che si spezzano, scritte illeggibili, angeli ai quali non resta che piangere sconsolati, ai piedi di quello che fu il monumento del quale facevano parte.Qualcosa rimane. Nomi famosi, nomi di quelli che proprio in questi giorni vengono votati sul sito del Comune tra i personaggi pratesi più illustri. Restano anche testimonianze di vera arte funebre, tra il neoclassico e varianti più recenti. Resta l’opera, non sempre curata (anzi), di Oreste Chilleri, scultore di primissimo piano a cavallo dei secoli XIX e XX, che trova spazio anche nelle enciclopedie. Un altro pratese famoso, la cui opera, in gran parte cimiteriale, sfuma sotto i colpi del tempo e dell’incuria.

(dal numero 22 del 12 giugno 2011)