Opinioni & Commenti
Chiamati a crescere in civiltà superando ideologie e visioni anguste
di Franco Vaccari
Antipolitica, dicevamo. E da allora una dozzina di giorni fa le ragioni non la ragione di questo crescente atteggiamento non sono certo diminuite. Fatto preoccupante, dal momento che mai come in politica le ragioni si fondono con le emozioni creando una miscela che in breve può diventare esplosiva. Perché rinviare, per esempio, il disegno di legge sul taglio dei costi della politica, quando votarlo poteva essere un segnale di volontà riformatrice? Pur trovando certamente motivi a favore di uno slittamento, la reazione pressoché unanime è un giudizio inascoltato: pervicace sordità della politica. Così il sentimento di insoddisfazione, di frustrazione, di rabbia, cresce e, dal libero aggregarsi sociale prendono consistenza ogni giorno forme di movimento che a loro volta non sono indenni dagli effetti del clima disgregatore, portando alla ribalta un mix di interessi largamente condivisi e di altri assai più lobbistici, se non individualistici.
Così prende campo la raccolte di firme per il referendum sulla legge elettorale. Cosa fatta dai più con l’intenzione di operare una pressione sul Parlamento, in quanto non può esserci una fiducia fondata nello strumento referendario che ha manifestato in modo evidente le sue ambiguità e manchevolezze. Una legge che lo evitasse sarebbe cosa assai migliore.
Così, in Toscana, merita attenzione, tra gli altri, il nuovo movimento dei Comitati di difesa dell’ambiente.
L’intenzione dichiarata si legge è quella di «irrobustire la partecipazione democratica, far nascere una democrazia territoriale partecipata», in modo da realizzare «una sintesi neoambientalista che si fondi su valori concreti quali vivibilità e sopravvivenza». Apprezzabile intento. Tanto più nel Paese dove voci della politica continuano a giudicare il recente libro di Gian Antonio Stella, La casta, un «pericoloso strumento che alimenta l’antipolitica più irrazionale» e, contemporaneamente, in barba a tutti, la Regione Calabria inserisce tra i comuni che faranno parte delle sue comunità montane Bova Marina «il cui municipio commenta il solito Autore svetta dolomitico 20 metri sul livello del mare».
Dunque intenti giusti ed evidenti necessità di azione per la difesa ambientale. Ma, proprio in questo ambito, emergono domande di fondo irrinunciabili che possono preservare i movimenti da scivolate nell’antipolitica.
L’ecologia, infatti, che proprio per sua intima natura dovrebbe avere un approccio globale ai problemi, appare sempre più frammentata, portatrice di piccoli anche se legittimi interessi, che collidono con quelli generali, offrendo un’immagine ingenerosa di protesta senza proposta. Un’immagine che fa comodo a chi vuole liquidare una vigilanza civile capace di contrastare interessi illegittimi se non addirittura illegali. Sembra, nella galassia ambientalista, che gli interessi delle comunità locali siano irrimediabilmente in conflitto con quelli generali. E siccome il cittadino è tale per la sua duplice appartenenza alla comunità locale e globale, ecco che il vissuto intimo è disorientante e lacerante. Un rischio grave da non sottovalutare da parte di chi vuole veramente costruire, senza cedere all’irrazionalità. La contraddizione deve trovare una risposta nella riflessione, nei comportamenti e nella comunicazione mediatica. Altrimenti tutta la cultura ambientalista rischia di ridursi ad un unico e pregiudiziale «no». Solo «no». No alla Tav e alle terze corsie, no alle villette e alle pale eoliche, no alle gallerie e alle «bretelle», per giungere ai paradossi opposti delle ipertutele legislative che negano le antiche vasche di marmo per il lardo di colonnata e l’uso degli ziri secolari per l’olio toscano che ci invidiano in tutto il mondo.
Dobbiamo crescere in civiltà, superando contraddizioni e contrapposizioni. La posta in gioco è troppo alta. Movimenti e istituzioni devono urgentemente e stabilmente dialogare poiché solo dall’incontro dei due punti di vista può realizzarsi il bene comune. Insieme possono combattere la miopia del nostro tempo. Il tempo si è fatto stretto, sfuggente, breve, invece la Politica del Bene Comune è di ampio respiro, lungimirante. Se non vogliamo che la cultura dell’ambiente, come la cultura della pace, sia condannata a essere cultura di opposizione e non di governo, le visioni anguste, ideologiche, vanno sostituite con i valori che si coniugano con la prospettiva del bene comune (esteso oltre i confini geografici e pensato nella dimensione del futuro). Il «patto ecologico» annunciato in queste ore da vari partiti che si associano in un’agenda comune è segnale incoraggiante. Infatti i grandi obiettivi si raggiungono con ampie convergenze e si appannano con le piccole impuntature oltranziste che non creano simpatia alla causa, ma aggiungono litigiosità e senso di distanza.
Sì, occorre un’agenda di priorità concordate, da realizzare senza veti continui, capace di comunicare a tutti un alto senso di responsabilità che riteniamo ancora animi la politica.
Svegliarsi e mobilitarsi è cosa buona. Ma si affrontino con equilibrio tutti i problemi dell’uomo e del suo ambiente, a partire da uno sviluppo economico sostenibile. Altrimenti possono nascere i sospetti che le indignate reazioni pubbliche nascondano e non sarebbe la prima volta legittime quanto effimere motivazioni private. E questo sarebbe un ottimo alibi per la politica che non sa ascoltare e non vuole cambiare.