Cultura & Società
Che cos’è il caso Facebook e cosa c’entra Cambridge Analytica? Una breve guida
Il vaso di Pandora è stato scoperchiato e gli spiriti della Rete stanno invadendo il mondo. È deflagrato con la forza di una detonazione per troppo tempo rimandata il caso Facebook e Cambridge Analytica, coinvolgendo i governi e le autorità di mezzo mondo. Ma di cosa si tratta e perché ci riguarda tutti da vicino? Proviamo a riannodare i fili principali della vicenda.
Come nasce il caso e perché. Tutto ha inizio con due inchieste giornalistiche del New York Times e The Observer, datate 17 marzo, che si concentrano sull’attività della Cambridge Analytica, società britannica specializzata nella raccolta di dati sugli utenti dei social network e nel loro utilizzo per le campagne elettorali. Si scopre che nel 2013 un ricercatore dell’Università di Cambridge, Aleksandr Kogan, ha messo a punto un’applicazione chiamata «thisisyourdigitallife» che permette di predire i profili psicologici delle persone analizzando i comportamenti online e, in particolare, i «Mi piace» su Facebook.
La utilizzeranno circa 270mila utenti che, con la semplice registrazione tramite il proprio profilo sul social, accettano di condividere informazioni personali. Inoltre, secondo la policy vigente allora, l’applicazione era autorizzata a raccogliere anche i dati degli amici senza avvisare. Il risultato, secondo le stime giornalistiche, ammonta a 50 milioni di utenti saccheggiati.
Sapere tutto con pochi like. L’algoritmo che permette a Cambridge Analytica di sviluppare un sistema di «microtargeting personale» è opera di un altro ricercatore dell’università inglese, che sostiene di essere in grado di profilare un utente già con l’analisi di appena 50 like. Se si sale a 170, si è in grado di raffinare ancora di più il risultato con l’etnia, le tendenze sessuali e l’orientamento politico. Arrivando a 300 la conoscenza diventa paragonabile o superiore a quella di una persona di famiglia.
Trump vs Clinton: le presidenziali 2016. Se una società che si occupa di marketing accumula un archivio tanto vasto e dettagliato su un numero così elevato di utenti, è per rivenderlo al migliore offerente.
Ed è qui che il caso si gonfia: sembra, infatti, che i servizi della Cambridge Analytica siano stati richiesti in oltre quaranta elezioni nel mondo per orientare il voto dei cittadini. Tra queste, le presidenziali statunitensi del 2016 che hanno sancito la vittoria di Donald Trump. Nulla di nuovo sotto il sole, se si pensa che Barack Obama aveva potuto beneficiare di un analogo e straordinario sforzo propagandistico in Rete quando era stato eletto alla Casa Bianca. Ma, nel frattempo, le tecniche di raccolta dati si erano ancor di più raffinate e la distanza tra lecito e illecito si è andata assottigliando fin quasi a scomparire.
La versione di Zuckerberg e le indagini in corso. Dopo giorni di silenzio da parte di Facebook, che si era trincerata dietro a una generica dichiarazione di non responsabilità, il 21 marzo il fondatore Mark Zuckerberg pubblica un lungo post in cui ammette di aver «commesso errori» e assicura regole più stringenti a tutela degli utenti: «Ho fatto partire io Facebook, e sono quindi responsabile per ciò che accade su questa piattaforma. Sono seriamente intenzionato a fare il necessario per proteggere la nostra comunità».
L’uscita pubblica segue giorni infuocati per il colosso di Menlo Park, che ha bruciato in borsa 9 miliardi di euro in 48 ore ed è diventato oggetto di un’indagine da parte della Federal Trade Commission che paventa una multa fino a 3 miliardi di dollari (i dati sensibili postati su Facebook non possono essere trasferiti a «soggetti terzi»). E mentre si indaga anche sui rapporti con il Russiagate e il Parlamento europeo convoca Zuckerberg per chiarimenti, sulla Rete impazza la #deletefacebook che invita gli utenti a cancellare i profili su Facebook.