Lettere in redazione
Che ci faceva il cardinale alla cena di Bruno Vespa?
Caro direttore, i giornali hanno dato notizia di una cena in casa di Bruno Vespa a cui avrebbe partecipato, oltre ad alcuni personaggi di altissimo livello politico ed economico (Berlusconi in testa), anche il cardinal Bertone. Trattandosi, con tutta evidenza, non di una «rimpatriata» informale fra amici, ma di una riunione il cui denominatore comune era il potere (e in particolare, stando alle indiscrezioni, il tentativo di puntellare la traballante maggioranza di governo, magari con l’aiuto dell’Udc di Casini), faccio fatica a capire il senso della presenza del Segretario di Stato vaticano in mezzo a gente così diversa da quei poveri, perseguitati e «assetati di giustizia» di cui parla il Vangelo.
Caro Francesco, non sei stato sicuramente il solo a chiederti che ci faceva il cardinale Segretario di Stato a quella cena, ma come sempre succede in questi casi è bene cercare di capire, per quello che è possibile, come stanno realmente le cose. E almeno una, fondamentale, sembra ora chiara: quella cena non nasceva per favorire l’incontro tra due leader politici (Berlusconi e Casini) in vista di un rientro dell’Udc nell’attuale maggioranza di governo con la «benedizione», addirittura, del Vaticano; quella cena nasceva per festeggiare i 50 anni di professione giornalistica di Bruno Vespa, più esattamente i 50 anni dal suo primo articolo, il 7 luglio 1960, sull’edizione aquilana de «Il Tempo», dove fino ad allora aveva lavorato Gianni Letta prima di trasferirsi alla sede centrale del quotidiano a Roma.
Sembra anche, stando almeno alle dichiarazioni di Vespa, che nessuno degli altri ospiti sia intervenuto sullo scambio di battute politiche tra Berlusconi e Casini nel mezzo di un colloquio a cena che ha riguardato tanti altri argomenti, compreso quelli meno impegnativi. A questo punto, ci si può semmai chiedere se non siano eccessive queste autocelebrazioni di Vespa (il primo articolo a 16 anni) e quanto sia opportuno per un cardinale partecipare a certi ritrovi più o meno mondani. Ma è un discorso completamente diverso che deve tener conto dei rapporti, diciamo così, «diplomatici» e soprattutto di amicizia che ognuno di noi, cardinali compresi, ha il diritto di coltivare.
C’è poi, a mio giudizio, un livello ulteriore, ma non riguarda più i cardinali: è quello del potere della tv, che si riflette sui personaggi che fanno la tv. In questo senso il potere di Vespa è indiscutibile. Non è un caso che la sua «Porta a porta» sia stata definita la «terza Camera». I meriti e le capacità di Vespa non sono in discussione e lui, da buon giornalista, fa il suo lavoro. Sono i politici che dovrebbero avere più rispetto per i luoghi deputati al dibattitto politico e tradurre la politica non in proclami televisivi ma in atti concreti a favore del bene comune. A Vespa rimane comunque il dovere di non fare commistioni tra il privato di casa sua e il pubblico di cui anche a lui fa parte attraverso la Rai.