Toscana
Cerza (Cisl): In Toscana una sola priorità, il lavoro
«Siamo in un pantano. L’unico modo per uscirne è che ognuno faccia la propria parte con responsabilità». Riccardo Cerza, confermato presidente della Cisl Toscana, non nasconde le difficoltà del momento. Soprattutto di guidare una grande forza sindacale in una fase di crisi che sembra non vedere la luce. «È una grande responsabilità certamente – commenta– e me la sento tutta addossa. Ma, come ha detto Papa Francesco, il potere è servizio. Il sindacato per me è questo: mettermi al servizio dei nostri iscritti, dei lavoratori, dei pensionati».
Qual è la priorità per la Toscana?
«Non ho fantasie. È una sola: lavoro, lavoro, lavoro. C’è bisogno di difendere i posti di lavoro che ci sono, uno ad uno, ma soprattutto c’è bisogno di crearne di nuovi. Dobbiamo creare le condizioni per far sì che in Toscana arrivino investitori».
La burocrazia è un ostacolo?
«Sì, così insormontabile che blocca tutto. In Italia e anche in Toscana c’è un livello pesantissimo di burocrazia, aggravata dalle resistenze che abbiamo da destra e da sinistra che si coniugano con i campanilismi sfrenati. L’esempio che ho portato anche al congresso è quello di regioni a noi vicine come Carinzia e Slovenia dove in 8 giorni si riesce ad avere tutte le autorizzazioni, quando da noi, se tutto va bene, ci vogliono mesi. Spesso si continua a parlare di opere che hanno trent’anni, come la Tirrenica, e che non riescono a vedere la fine. O sblocchiamo questa situazione o rischiamo di perdere il treno della ripresa».
Anche l’aver puntato tutto sulla speculazione ha contribuito a questa situazione…
«Questo è il male degli ultimi 20 anni, non solo della Toscana ma anche dell’Italia e dell’Europa. Abbiamo svilito completamente la parola lavoro che è stato coniugato con rendita e speculazione e non con bene sociale come viene ben definito dalla nostra Costituzione e anche dalla Dottrina sociale della Chiesa. La necessità è quella di riportare il lavoro al centro: lavoro inteso come progetto di vita sul quale si basa la famiglia, non solo come mezzo di guadagno. Negli ultimi tempi invece ha prevalso la speculazione e la rendita fino a portare il rapporto sul Pil al 33%: un’enormità. Anche i liberisti più sfrenati affermano che la giusta quota si deve fermare al 15%. Quel 18% in più sono tutte risorse che vengono sottratte al bene della nazione».
Come è possibile riallineare questo squilibrio?
«È anche un problema culturale. In Toscana molte aziende hanno smesso di fare manifatturiero per fare profitto, con speculazioni immobiliari e mobiliari. Sì è pianto di più quando veniva tagliato un cipresso con sollevazioni popolari, che quando chiudeva un’azienda. E poi soprattutto qui in Toscana bisogna riportare il significato del lavoro alle origini, al gusto di saper fare. Ai giovani bisogna di nuovo insegnare il bello dello sporcarsi le mani. Tutto ciò deve anche essere accompagnato da leggi che diano un beneficio a chi desidera intraprendere nel modo giusto come è stato sottolineato anche alla Settimana sociale dei cattolici toscani a Pistoia».
Il manifatturiero è stato uno dei settori più colpiti…
«La crisi ha colpito durissimo. Negli ultimi due anni, oltre alle migliaia di crisi di piccole aziende che purtroppo non fanno notizia ma che hanno effetto su migliaia di posti di lavoro persi, si sono aperte situazioni critiche in 70 grandi aziende. Per fortuna ci sono anche aziende che vanno bene e che sono delle eccellenze. Le abbiamo difese nei primi due anni attraverso la cassa integrazione in deroga e adesso sono ripartite. È il caso della moda, ma ci sono anche altre filiere che ce la possono fare. In questi settori dobbiamo concentrare le poche risorse che abbiamo».
Anche la sanità è un nervo scoperto…
«Questi 20 anni hanno tolto alla nostra gente, lavoratori e pensionari, le due grandi ricchezze che avevano: lavoro e welfare. Erano due certezze che davamo per scontate e ci accompagnavano sempre. Tutto ciò va ripensato. Perché se togliamo lavoro e welfare le persone diventano povere. E la sanità è un settore in grave pericolo. Sia per i tagli lineari dei governi che si sono succeduti, sia per la mancanza di risorse. Dobbiamo rivedere tutto il sistema».
In che modo?
«Passare da un modello basato completamente sul pubblico ad uno basato sulla sussidiarietà circolare, investendo nel grande valore costituito dall’associazionismo. Mentre infatti la sussidiarietà orizzontale eroga servizi pagati dallo Stato ma realizzati dai privati, e quindi ci si ritrova da capo per quanto riguarda la carenza di risorse, la sussidiarietà circolare mette insieme risorse pubbliche e risorse private per raggiungere determinati obiettivi e consente al pubblico di risparmiare».
Al termine del suo secondo mandato come vorrebbe vedere la Toscana?
«Più leggera e con più sussidiarietà. Una Toscana senza più province, meno burocratica, più matura, senza campanilismi, con voglia di collaborare, dove oguno si prenda la propria responsabilità. Questa è la strada per uscire dalla crisi».