Arezzo - Cortona - Sansepolcro

«C’era una volta la Valdichiana». Un libro racconta le tradizioni.

Tante cose scompaiono. Scompaiono non solo le cose importanti, ma soprattutto quelle piccole realtà quotidiane che hanno fatto parte della nostra storia familiare e professionale: ci vengo a mancare i vicoli, le strade, i palazzi, le case, le pietre che sono stati testimoni della nostra vita.Partendo da questa constatazione Paolo Terrazzani ha dato alle stampe un volumetto dal titolo: «C’era una volta… la Val di Chiana». Il libro è frutto di una ricerca in cui l’autore è stato aiutato tra gli altri anche da: Ferruccio Sereni e Alvaro Ceccarelli. «Nostro intento – scrive Ferruccio Sereni nella presentazione – non è stato quello di scrivere un trattato di storia, ma di raccontare alcuni aspetti delle nostre tradizioni, il cui ricordo e le cui tracce vanno scomparendo; di raccogliere, in una piccola pubblicazione, alcuni aspetti forse marginali, ma sempre importanti delle nostre tradizioni. Abbiamo appunto pensato di intitolarla, come l’inizio di ogni favola, “c’era una volta”, in questo caso “c’era una volta la Val di Chiana”. L’impostazione data alla trattazione dall’autore è semplice ma efficace e mi riporta alle giornate in cui il nonno materno mi caricava nel carro trainato da due bellissimi buoi di razza chianina e, nel tragitto che portava ai campi, mi raccontava accadimenti e leggende della sua gioventù: tutto, ogni attività quotidiana aveva un perché, una sua storia spesso favolosa».Scorrendo le pagine del volumetto ci si sente immersi in un’atmosfera di altri tempi, in quei fatti e in quegli accadimenti che hanno fatto la storia delle generazioni che ci hanno preceduto e che noi oggi andiamo a ricercare. Ritroviamo allora usi e abitudini che oggi non pratichiamo più, come le «rogazioni», quelle lunghe processioni che, con a capo il prete che si snodavano in mezzo ai campi e si concludevano con la benedizione e il ringraziamento a Dio per i doni della terra. Ritroviamo le usanze di benedire piante, frutti, ramoscelli di olivo: tutti elementi vegetali che venivano poi posti «all’esterno o all’interno delle case e nelle stalle perché il Cielo avesse cura di esse e dei loro abitanti. Aggraziavano di fede un ingresso, una parete, il capo del letto o i piccoli altarini domestici, veri eredi dei Lares romani». Troviamo rievocata la tradizionale devozione dei contadini a Sant’Antonio, protettore degli animali domestici, e la pratica di collocare croci sulla confluenza di strade e nei campi. Una erudita dissertazione ci spiega il radicamento nella nostra gente della devozione verso la madonna, legata a vari luoghi di culto sempre in stretta simbiosi con la natura.Interessante la ricerca sull’architettura in crudo nella vallata, cioè sulle antiche case fatte solo di terra, di cui ancora esiste qualche raro esemplare.Passeggiando per la valle, nel territorio cortonese o castiglionese, si incontrano poi testimonianze curiose di leggende, più che mai a sfondo religioso, che ci aiutano a penetrare nella spiritualità semplice ma incontaminata delle nostre popolazioni campagnole, come il Pozzo di San Giliberto di Montecchio e il Sasso Bello di Pergo. Interessantissima infine la serie di foto, scattate dal Fotoclub Etruria, in cui si mettono a confronto visioni della Val di Chiana ritratte nel 1956 con le immagini attuali, che dimostrano le profonde trasformazioni avvenute.Ultima segnalazione: un’insolita chiave di lettura per l’interpretazione della toponomastica della Val di Chiana, è dovuta ad Alvaro Ceccarelli, che, ripartendo dalla teoria del celebre filologo fiorentino, Giovanni Semeraro, sostiene l’origine semitica delle lingue occidentali.Volete sapere il significato, secondo questa chiave interpretativa, di toponimi come Cortona, Camucia, Fossa del Lupo, Brolio, Castroncello, Buriano, Trasimeno, Terontola, Ossaia, Pergo, Tavarnelle e di altri nomi dei nostri paesi? Ma no, preferisco lasciare ai voi, cari lettori, la gioia e la soddisfazione di interessanti scoperte. Buona lettura!di Benito Chiarabolli