C’ era una volta la Quaresima dei ragazzi. Era tempo di riflessione, astinenza e digiuno. Per noi ragazzi, diciamolo pure, era una festa. La fiera di Mezzaquaresima, affollatissima di animali, di uomini e donne era attesa per il «gioco» della «scaletta»: di nascosto – altrimenti che gusto c’era – e in combriccola, si ritagliavano sulla carta delle piccole scale e poi giù nel mezzo della folla, pigiati come sardine (e quello giocava a nostro favore), per attaccare senza dare nell’occhio la scaletta di carta alle «giubbe» degli uomini, seri signori tutti volti a trattare, far mercato, tra un prendere e lasciare le mani nel tirare in lungo le «sensalerie», dove la parola valeva come un rogito di notaio. Più gente girava inconsapevole con l’ammennicolo appiccicato sul retro, più durava la nostra maliziosa allegria. Ma la «scaletta» – ecco la quaresima – era il simbolo di un dramma che sarebbe avvenuto, e cioè la scala appoggiata alla croce, sul Calvario che attende, ineludibile il dramma dell’Uomo/Dio.Nella casa contadina, o meglio nel granaio, dove al chicco buono di grano faceva compagnia la famiglia dei semi di erbe cresciute come l’oglio – i chicchi di «veccia» venivano «stacciati» e andavano a finire per la scorta degli animali da cortile. Con l’inizio della Quaresima, la veccia era seminata dai ragazzi, in vasi di coccio, posti poi sotto i letti delle stanze, cioè dove poteva essere assicurato una oscurità costante e piuttosto completa. La seminagione doveva essere periodicamente annaffiata, affinchè la veccia crescesse: ma al buio doveva crescere un’erba bianca e non verde, la quale, per cercare la luce prima scendeva in filamenti lungo il vaso, poi tentava di risalire. Il giorno del venerdì santo ognuno portava in chiesa, per abbellire il «Sepolcro», come usava allora, il suo vaso di veccia bianca, e l’insieme formava un candido lenzuolo attorno e fin sopra l’altare.C’era poi il gioco del «fuoriverde», meno carico di valenze religiose ma che veniva fatto sempre per tutto il periodo della Quaresima. Il sempreverde bosso era un arbusto che non mancava mai accanto ad ogni casolare (il frutto, molto nero, spremuto faceva da inchiostro) come l’alloro, il rosmarino, ed altre erbe aromatiche o adatte come farmacopea o ingredienti per la cucina. Era d’obbligo tenere in tasca un ramoscello di «verde» e appena si incontrava un ragazzo, veniva tirato fuori a bruciapelo con il «comando»: «Fuori il verde». L’altro, se preparato, controbatteva: «Fuori il tuo che il mio è più verde». Messi a confronto i due reperti, quello secco doveva pagar pegno. Per evitare qualche gogna peggiore, era meglio portare in tasca due noci, per darle al vincitore.Altri tempi. La primavera, la natura, il senso di una religione vissuta anche come leggerezza di cuori, costruivano una partecipazione profonda ai giorni della preparazione al grande evento finale della Pasqua di Resurrezione. Giancarlo Renzi