Toscana

Cento anni fa nasceva a Lucca Maria Eletta Martini. Fu un’anticipatrice del Concilio

Innanzitutto è stata una delle figure più rappresentative di quello che comunemente definiamo il cattolicesimo democratico. Anzi, senza di lei sarebbe difficile anche una definizione di questa che è categoria culturale e politica insieme. Chi erano, e chi sono, infatti, i cattolici democratici? Sono quei credenti laici impegnati sul piano temporale in esperienze associative o politiche, che sperimentano ed esprimono il valore dell’autonomia del loro impegno e della volontà di assumere in nome proprio (senza cioè coinvolgere la Chiesa e ancor meno pretendere di rappresentarla) la responsabilità delle proprie scelte, nella convinzione che questo sia il modo giusto per rendere un servizio all’uomo, cioè ai propri concittadini, e alla Chiesa stessa. «Compito dei laici è di trattare le cose temporali – si legge infatti al n. 31 della Lumen Gentium – per ordinarle secondo i disegni di Dio…».

Una lezione che Maria Eletta aveva imparato, ben prima del Concilio, dal padre Ferdinando quando, di fronte alle incertezze dei tanti amici di Azione cattolica, decise di andare in montagna a fare il partigiano (e lei, per quanto e come poteva, lo seguì), dal giovane vescovo ausiliare e poi titolare di Lucca mons. Enrico Bartoletti, da un altro giovane sacerdote assistente della Fuci, poi anche lui vescovo, don Filippo Franceschi e, infine, quando entrò in parlamento, da quello che non ha mai cessato di considerare suo maestro, Aldo Moro.

Maria Eletta Martini è stata una donna politica di rango, e di peso non del tutto conosciuti. Una parlamentare che ha inciso molto non solo nelle dinamiche legislative, ma anche nella vita politica del paese. Anche perché lavorava normalmente in silenzio. Teneva, infatti, i rapporti riservati per conto della Dc con gli ambienti ecclesiali. Le era anche abbastanza facile perché, quando mons. Bartoletti venne scelto da Paolo VI come Segretario generale della Cei, con l’incarico di tenere rapporti anche con il mondo della politica, lei ne divenne immediata interlocutrice. Bisogna sapere che Bartoletti era il solo vescovo italiano che incontrava il Papa pressochè settimanalmente, per capire di cosa parliamo. Sia chiaro, Martini aveva una concezione precisa della laicità, ma questo non le impediva di avere rapporti con la Chiesa non per prendere ordini, ma per rappresentare i problemi della politica e le difficoltà a risolverli e, nello stesso tempo, per ascoltare valutazioni e consigli. Agli interlocutori citati è giusto aggiungere anche il nome del card. Achille Silvestrini che di lei apprezzava la discrezione, l’autorevolezza e la prudenza (virtù su cui lei stessa si era soffermata nell’introduzione al suo libro del 1996 «Anche in politica da cristiani esigenti»).

In sede parlamentare è stata madrina di molte leggi, come il Diritto di famiglia, il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, il Ssn e, da ultimo, la legge quadro sul Volontariato. A quest’ultimo riguardo si dovrebbe approfondire il contributo dato, assieme al prof. Achille Ardigò, all’idea, che purtroppo rimase disegno non realizzato, che si dovesse superare il dualismo classico fra Stato e Mercato, con l’inserimento di una terza polarità: Stato, Mercato e Terzo settore. Un pensiero originale che servì anche a far superare ai comunisti una certa diffidenza verso il privato, seppur definito privato-sociale, cioè non aperto al profitto e alla speculazione. Purtroppo la politica ha smarrito le tracce di un dibattito che, grazie alla Martini, in quegli anni coinvolse largamente anche il mondo della cultura e dell’Università.

Da ultimo una riflessione su una sua attitudine a non sfuggire alle problematiche etiche più difficili, da un certo punto di vista, per i cattolici, i cosiddetti «valori non negoziabili».

Maria Eletta pensava che il vantaggio elettorale della Democrazia cristiana negli anni del suo impegno e anche in quelli precedenti, fosse stato il frutto di un’attitudine dei cattolici a farsi carico di tutti i problemi della gente, compresi quelli derivati dal cambiamento dei costumi. C’era insomma, a suo avviso, nella proposta della Dc quella capacità di flettersi sul dorso del paese (come diceva Moro) per «auscultarne» problemi e stati d’animo. Ma il sessantotto aveva cambiato il quadro dei valori condivisi. Moro parlava allora di un’annunciata «rivoluzione femminile» e, in effetti, nel decennio successivo, il parlamento introdusse nell’ordinamento il divorzio e l’interruzione volontaria della gravidanza, due leggi difficili, che toccò in gran parte a lei gestire per conto del suo partito.

Fu lucida, razionale, per nulla intimidita dalla crescente agitazione della piazza «anticlericale», laicamente impegnata a sostenere le proprie ragioni, declinate sempre sul piano della razionalità, pur essendo consapevole della condizione divenuta progressivamente minoritaria dei propri argomenti, dimostrata anche dagli esiti dei referendum di quegli anni. «Vedi, mi disse un giorno, per chi ha fatto la Resistenza è meno difficile riconoscere l’importanza dei principi anche quando oggettivamente non possono prevalere. Anche in quei casi è importante che ci sia chi ce li ricorda. Avevamo ben presente il quinto comandamento, “non uccidere”, un principio, un vincolo. Noi partigiani cristiani però non abbiamo mai chiesto al confessore la sospensione temporanea di quel vincolo, anzi proprio quel valore della sacralità della vita pure in una situazione così necessitata come quella di un’azione militare, ci ha consentito di portare al tavolo dei nostri comandi militari quel senso di ragionevolezza nell’uso della forza, di rifiuto della vendetta, di senso della misura, che ha qualificato non solo l’originalità, ma l’utilità insostituibile della nostra presenza nella Resistenza».