Sono trascorsi cento anni dalla conferenza missionaria internazionale tenutasi ad Edimburgo nell’estate del 1910. Si trattava di uno degli incontri organizzati dalle società missionarie delle chiese episcopaliane ed evangeliche operanti tra i non cristiani, che si svolgevano più o meno a scadenza decennale.A Edimburgo lo scopo dell’incontro non fu solo quello di coordinare le forze, evitando inutili sovrapposizioni e di migliorare la formazione dei missionari. I delegati si trovarono a riflettere anche sul senso della missione universale della Chiesa, sul rapporto tra annuncio del vangelo e religioni non cristiane, ma soprattutto sulla collaborazione tra cristiani di denominazioni diverse e la promozione dell’unità delle Chiese.La conferenza del 1910 aprì le porte a una nuova era dell’ecumenismo, grazie ad essa nacque quel movimento ecumenico moderno che è giunto fino a noi producendo tanti frutti positivi per il raggiungimento dell’unità dei cristiani: da essa ebbero infatti origine molti movimenti e organismi con finalità ecumenica. Per questo la conferenza di Edimburgo può essere ritenuta una delle grandi svolte nella storia della Chiesa.I missionari erano stati i primi ad avvertire la tragedia delle divisioni tra le Chiese proprio nel compiere la loro attività tra i non cristiani. Lentamente, non senza passi incerti, le varie confessioni cristiane impararono ad accostarsi le une alle altre ed a condividere tratti di strada comune.L’incontro di Edimburgo non fu un evento improvvisato, ma il risultato di una lunga strada, di un cammino che anno dopo anno aveva coinvolto sempre più fedeli e le loro Chiese. Già il lavoro di preparazione della conferenza riuscì ad immettere nelle correnti dell’ecumenismo centinaia di persone che fino ad allora non ne erano state toccate, stabilì nuovi vincoli di solidarietà tra i partecipanti e conseguentemente tra le loro comunità.Molte cose sono accadute nella vita delle Chiese cristiane in questi cento anni e sicuramente il Novecento, nonostante le sue terribili sciagure, è stato caratterizzato dalla crescita del movimento ecumenico che ha coinvolto un numero sempre più alto di denominazioni cristiane.Per la vita della Chiesa cattolica la svolta decisiva si è avuta con il Concilio Vaticano II e il suo decreto Unitatis redintegratio (1964). Svolta sottolineata più volte dai papi, come fece Giovanni Paolo II: «Con il Concilio Vaticano II, la Chiesa cattolica si è impegnata in modo irreversibile a percorrere la via della ricerca ecumenica, ponendosi così all’ascolto dello Spirito del Signore, che insegna come leggere attentamente i “segni dei tempi”» (Ut unum sint 3).A distanza di cento anni, se da una parte permangono ataviche incomprensioni e pregiudizi degli uni nei confronti degli altri, non si può negare il risultato positivo e tangibile costituito dai dialoghi interconfessionali a livello teologico, come da numerose altre iniziative che favoriscono la conoscenza reciproca.Sia gli elementi positivi come quelli negativi, insieme alla realtà dell’immigrazione che in questi anni vive l’Europa occidentale non è questo un «segno dei tempi»? non possono che sollecitare le nostre comunità a proseguire e intensificare il dialogo ecumenico a tutti i livelli.Occorre ancora oggi continuare a porsi in ascolto di ciò che lo Spirito vuole insegnare alle Chiese, lasciarsi interpellare da quelle realtà, spesso nuove e in taluni casi non sempre conosciute a dovere, che sollecitano una risposta dalle nostre comunità parrocchiali innanzitutto per riconoscere e vincere i pregiudizi che ancora le animano.Roberto Fornaciari monaco camaldolese docente di ecumenismo all’Issr e membro della Commissione per l’ecumenismo.