Cultura & Società
Centenario di Annigoni: il suo tormentato percorso artistico e spirituale
di Antonio Lovascio
«Mi hanno chiamato il pittore dei mendicanti; più tardi mi hanno definito il pittore delle regine. Ma i mendicanti me li sono scelti, invece i potenti mi hanno scelto loro». In queste battute, pronunciate spesso con orgoglio, c’era in fondo tutto il carattere ed il carisma di Pietro Annigoni, uno dei più grandi e discussi artisti del Novecento. Il 7 giugno ricorre il centenario della nascita: Firenze e la Toscana lo ricordano con eventi di rilievo, che si svilupperanno fino ai primi mesi del 2011.
Momenti che metteranno in luce tutti gli aspetti di questo poliedrico personaggio. Un intellettuale quasi rivoluzionario, contestatore di un’epoca buia per la pittura. Amante della vita, anticonformista e di idee liberali: a modo suo si ispirava al pensiero di Benedetto Croce. Irrequieto e a volte persino irrispettoso. Milanese di nascita, si trasferì a Firenze con i genitori quando aveva 15 anni. Studiò dagli Scolopi prima di diplomarsi all’Accademia. Fu subito attratto dalla ricchezza di opere d’arte che la città di Dante gli offriva: se ne innamorò a tal punto da fermarsi qui per sempre, fino al 1988, anno della sua morte. Da quando riposa nel Cimitero delle Porte Sante, a San Miniato a Monte.
L’ho conosciuto personalmente, tramite un amico comune, padre Angelo Spinillo, pittore e critico d’arte di «Avvenire» negli anni Settanta, domenicano del convento di San Marco, dove il Maestro aveva dipinto splendidi affreschi. Alla vigilia di una sua importante mostra fiorentina, ci invitò nel suo studio, in pieno centro storico (Borgo degli Albizi 8), dove campeggiava il famoso autoritratto del 1949 esposto alla Royal Academy. Un piccolo dipinto che ha segnato l’inizio della sua consacrazione internazionale. Dai tetti della Bottega si poteva ammirare e toccare quasi con mano la Cupola del Brunelleschi. Questo angolo di Paradiso era diventato una specie di «crocevia» del mondo. Qui preparava i suoi viaggi da un capo all’altro del pianeta (dopo l’Inghilterra dov’era di casa, visitò più volte la Germania e la Francia, quindi l’India, l’Iran, il Sudafrica, il Messico, il Sudamerica), affrontati sempre con lo spirito curioso e mai sazio dell’esploratore. Dovunque fosse, recitava con classe il ruolo di ambasciatore di tutta la cultura italiana. E approfittava delle lunghe escursioni in campagna per affinare la sua sensibilità nel cogliere, con matita. pennello e tavolozza, gli aspetti diversi della natura.
Spesso punzecchiato da una critica impietosa, era amato da De Chirico e corteggiato dai Grandi. La Regina Elisabetta (nel 1955, quando aveva 28 anni), gli ordinò un ritratto riprodotto anche in un francobollo passato per mano di miliardi di persone. Fu la fortuna di Annigoni, chiamato presto ad immortalare, tra i personaggi più famosi del secolo scorso, tutti gli altri esponenti della Casa Reale, e successivamente in una ulteriore escalation artistica l’allora regnante famiglia reale di Persia (Reza Phalevi e Farah Diba), John Kennedy, Papa Giovanni XXIII. Quello che va dal 1966 al 1988 rappresenta sicuramente il periodo più significativo del Maestro; tanto che la rivista «Time» gli dedicò ben sette copertine. Sono gli anni in cui le sue opere fondamentali (ritratti, incisioni, paesaggi inconfondibili, produzioni allegoriche, sacre rappresentazioni) incominciano ad affluire nelle più importanti gallerie del mondo, dove ancor oggi si trovano: non solo agli Uffizi o a Palazzo Pitti, ma pure al Metropolitan Museum di New York, nella Collezione reale di Windsor Castle, al National Portrait Gallery di Londra e nei Musei Vaticani.
Persa nel 1969 la prima moglie Anna (da cui ebbe due figli: Benedetto e Maria Ricciarda), trovò poi l’amore nuziale e l’ispirazione in Rossella Segreto, che ancora oggi lega il nome di Annigoni ad iniziative culturali in Italia ed a progetti di solidarietà nel Burkina Faso. Perché il Maestro amava la Grande Cultura, era ospite dei potenti (pronto però a rifiutare assegni con cifre milionarie se non gli andava di fare un ritratto); però più di tutto si sentiva vicino agli emarginati, da cui traeva spunto per le sue composizioni quando passeggiava per le strade di Firenze e frequentava osterie, semplici bettole o bar popolari tra l’arco di san Pierino e Santa Croce. Nei reietti vedeva la sublimazione dell’Uomo, con la sua intelligenza, le sue contraddizioni e miserie.
Alla fine di un tormentato percorso artistico e spirituale, da un versante laico è riuscito ad indicarci quali sono i valori che contano di più nella vita: «Sono quelli che ci insegna il Vangelo. La fede, in primo luogo, che da anni cerco di conquistare. La bontà, la generosità, la tolleranza sono valori meravigliosi: dovremmo recepirli per arricchire l’esistenza nostra e quella degli altri».
Questa ricerca di Dio è stata forse la molla che lo ha spinto, nell’ultimo ventennio, a dedicarsi maggiormente all’arte sacra, a riproporre in chiave moderna la grande tradizione rinascimentale. I suoi affreschi più apprezzati sono sicuramente quelli che possiamo ammirare nel Convento di San Marco e in numerose altre chiese della provincia fiorentina, nell’Abbazia di Montecassino, nel Santuario di S.Antonio a Padova, nella sede della Fondazione Stillman a Weterfield (Usa). Una delle opere più importanti del Maestro è sicuramente il ciclo pittorico nella prepositura di San Michele Arcangelo a Ponte Buggianese (Pistoia). Vi ha lavorato dal 1967 fino alla morte, raffigurando sulle pareti episodi tratti dalla Sacre Scritture.
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