Vita Chiesa
Ceneri, un rito pieno di significati
Cosa c'è nel gesto che apre la Quaresima

L’inizio della Quaresima è segnato dal gesto tradizionale dell’imposizione delle ceneri. Si tratta di una peculiarità del rito romani, che dai tempi di papa Gregorio magno dava inizio al digiuno penitenziale, continuato in modo comunitario fino alle festività pasquali. Le prime attestazioni certe di una cerimonia liturgica come la viviamo ancora oggi (imposizione sul capo delle ceneri, accompagnata da un’esortazione penitenziale) risalgono degli inizi del secolo XI. Come per altre ritualità, che affondano le radici in un passato antico, è importante interrogarsi sul suo significato e sul valore che possiamo attribuirvi oggi, perché non rimanga una sorta di devozione estranea alla vita o persino di protezione contro il male che riteniamo possa attentare alla nostra esistenza. Le domande possono sembrare provocatorie, ma non sono del tutto fuori luogo. Per esempio, talora capita che vengano portati a ricevere le ceneri bambini, persino tenuti in braccio dai genitori: salvando sempre la buona fede di chi li accompagna, si percepisce più il desiderio di una benedizione che il valore proprio della celebrazione, legata fin dal suo inizio al cammino penitenziale dei battezzati.
Riflettendo con attenzione ai gesti e alle parole della liturgia, possiamo farci guidare alla riscoperta del senso di questo rito, cominciando prima dal gesto fisico, passando poi a interrogare le parole che l’accompagnano. Il gesto dell’imposizione delle ceneri sul capo si radica nella tradizione biblica ebraica ed esprime pentimento per le colpe personali o comunitarie, implorando il perdono e la misericordia del Signore, accompagnando il gesto dalla pratica del digiuno. Passi celebri che ricordano questo gesto sono il pentimento della città di Ninive di fronte alla predicazione del profeta Giona (Gio 3,5-9) e l’invito al popolo rivolta dalla profetessa Giuditta per invocare l’intervento di Dio (Gdt 4,11). E in occasione della terribile distruzione che devastò Gerusalemme da parte dell’esercito di Nabucodonosor, «gli anziani della figlia di Sion hanno cosparso di cenere il capo» (Lam 2,10). Siamo davanti a un gesto fortemente penitenziale, che invoca dal profondo del cuore l’intervento e il perdono di Dio. Per ottenere le ceneri la tradizione cristiana usa i rami d’ulivo benedetti nella domenica delle palme e conservati per questo scopo. In questa prospettiva appare evidente il collegamento con la dimensione pasquale. Per la nostra fede, il percorso quaresimale tende alla partecipazione gioiosa alla Pasqua del Signore, attraverso un cuore purificato dal cammino penitenziale avviato proprio con la liturgia delle ceneri e l’esortazione a digiunare in questo giorno.
Il gesto di imporre la cenere sul capo è accompagnato da un’esortazione al fedele. La liturgia prevede la scelta fra due espressioni, tratte dalla Genesi e dal Vangelo, entrambe con un significato profondo da tenere presente. Quella più antica, che risale alle prime attestazioni liturgiche, invita a riconoscere la finitudine della nostra esistenza: «Ricordati, uomo, che sei polvere e in polvere ritornerai». La citazione è presa dal libro della Genesi (Gn 3,19), quando la narrazione presenta la condizione reale dell’umanità, causata dal suo allontanamento dal progetto di Dio sulla creazione. Tuttavia, il ritorno alla terra dalla quale l’umanità è stata tratta (Gn 2,7) mostra una finitudine che appartiene alla nostra realtà creaturale, corporale: in se stessa non è un male, ma lo spazio aperto, il luogo che Dio desidera riempire, attraverso il quale vuole condurci a una pienezza di vita. L’esortazione liturgica invita a riconoscere con profonda consapevolezza la distanza con il mistero della vita, del quale non siamo padroni, ma ne riceviamo il dono. Per questo ne restiamo responsabili, chiamati a restituirla a Colui che ce l’ha donata … per riceverla nuovamente in maniera definitiva. È il mistero della risurrezione escatologica, che attende l’umanità intera, che potremo vivere personalmente solo attraversando la valle oscura del ritorno alla polvere di cui siamo fatti. La frase alternativa, invece, è presa direttamente dalla predicazione di Gesù agli inizi della sua vita pubblica: «Convertiti e credi al Vangelo» (Mc 1,15b). Spesso oggi viene preferita. Certamente invita a un programma di vita che si percepisce subito pieno di fecondità e di valore. Non dobbiamo, però, dimenticare come entrambe le esortazioni si collochino in un unico contesto di salvezza, secondo prospettive diversificate ma collegate.
La conversione richiesta dalla seconda formula è resa esplicita dal brano evangelico che è stato ascoltato durante la precedente liturgia della Parola. Si tratta del ben conosciuto passo di Mt 6,1-18, nel quale Gesù esorta a vivere tre comportamenti di fede «nel segreto», lontano dalla vista degli uomini, là dove solo il Padre vede e conosce le intenzioni dei cuori. Così elemosina, preghiera e digiuno sono vissute in rapporto singolare con Dio, impedendo che vengano incrostate di vanità e ostentazione. Si radicano e permangono sul piano dell’integrità di vita, sulla purezza del cuore che solo Dio conosce. Per le parole di Gesù, si tratta di «praticare la giustizia» (Mt 6,1) davanti a Dio, attraverso questi tre atteggiamenti che sono profondamenti legati l’uno all’altro, come sottolinea un padre della Chiesa, in un testo molto significativo: «Tre sono le cose, tre o fratelli, per cui sta salda la fede, perdura la devozione, resta la virtù: la preghiera, il digiuno e la misericordia. Ciò per cui la preghiera bussa, lo ottiene il digiuno, lo riceve la misericordia. Queste tre cose, preghiera, digiuno, misericordia sono una cosa sola, e ricevono vita l’una dall’altra. … Perciò preghiera, digiuno, misericordia, siano per noi un’unica forza mediatrice presso Dio, siano per noi un’unica difesa, un’unica preghiera sotto tre aspetti» (san Pietro Crisologo). Così la liturgia, fonte e culmine della vita cristiana, ci inserisce nel cammino penitenziale della quaresima verso la gioia serena della partecipazione al triduo pasquale.