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CEI, MONS. BETORI: NO A LEGGE SUI PACS; DA NAPOLITANO RICONOSCIMENTO RUOLO DEI CATTOLICI

Il recente riconoscimento tributato dal presidente Napolitano ai cattolici “si inserisce all’intero di altre espressioni di riconoscimento, in positivo, del ruolo dei cattolici e del loro apporto alla convivenza sociale sia nel passato che nel presente, e come tale non può che farci piacere”. Lo ha detto mons. Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, rispondendo alle domande dei giornalisti durante la conferenza stampa a chiusura dei lavori del Consiglio permanente dei vescovi italiani. Quello del capo dello Stato, ha precisato però Betori, è stato un riconoscimento tributato ai cattolici “non tanto in ragione della loro fede, quanto per il loro contributo sotto forma di argomenti nazionali che invitano a condividere con altre persone”. Riguardo a materie come i pacs o le coppie di fatto, tutto ciò secondo il segretario generale della Cei “non porta al compromesso su tematiche così delicate, ma spinge a trovare una sintesi. E la sintesi si fa nel rispetto della propria identità, non venendo meno ai nostri principi. Altrimenti, il presidente avrebbe usato parole come compromesso o mediazione”. “Se il fine è quello di tutelare le persone, questo può avvenire anche senza creare un soggetto giuridico nuovo che entrerebbe in contrasto con la famiglia fondata sul matrimonio, così come la delinea e tutela la nostra Costituzione”, ha risposto mons. Giuseppe Betori alla se la Chiesa italiana potesse accogliere una qualche forma di riconoscimento delle “unioni civili”. Dopo aver ricordato che “la famiglia legittima fondata sul matrimonio va tutelata pienamente e più ampiamente”, Betori ha aggiunto che “nessun diritto ad ogni modo può costituire il fondamento del riconoscimento di un nuovo istituto giuridico”. Quanto ai diritti eventualmente da riconoscere alla coppie di fatto, ha riportato il pensiero del Consiglio permanente, secondo il quale “se ulteriori aspetti avessero bisogno di una protezione giuridica, c’è la strada del diritto comune oppure quella di modifiche del codice civile, purché si rimanga nell’ambito dei diritti e doveri della persona”.

Il Segretario della Cei ha anche precisato che nel corso del Consiglio permanente della Cei “non si è parlato affatto” di un eventuale referendum sui “pacs”, anche perché “dobbiamo prima vedere il testo di legge”. Quanto a una possibile azione di “diga” della Chiesa italiana nei confronti di una legge che non “soddisfi” le richieste dei vescovi in materia di unioni di fatto, Betori ha precisato che tale azione “si può fare in tanti modi”. “Dovremo vedere ciò che verrà approvato”, ha ribadito. “Certo non potremo rimanere inerti”, ha poi aggiunto.

In merito a presunti “contatti” con esponenti di governo, di partiti o istituzionali, Betori ha dichiarato: “Contatti specifici non ci sono. C’è il normale dialogo con persone che la Chiesa intrattiene da sempre con persone che appartengono alla vita pubblica, ma non si tratta di una trattativa della Chiesa italiana né con i partiti, né con il governo”. Tra i vescovi, invece, ha assicurato Betori, “le sfumature non mancano, ma ciò non significa che non siano uniti. C’è una sostanza di fondo che ci unisce”.

Incalzato da alcuni giornalisti sul riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali, Betori ha precisato che “già il termine coppia appartiene al concetto di famiglia fondata sul rapporto monogamico tra un uomo e una donna. Pertanto l’unione tra due persone dello stesso sesso non ha e non può avere un rilievo pubblicistico, se non per quegli aspetti del diritto comune che sono comunque già presenti nella nostra legislazione”. Alla domanda su come la Chiesa potrebbe valutare una eventuale legge sulle “unioni civili”, ha risposto che essa sarebbe “superflua” perché “andrebbe a configurare un fac-simile del matrimonio, con diritti uguali o quasi uguali ma senza gli stessi doveri”. “Anzi – ha poi aggiunto citando il caso olandese – questo nuovo soggetto giuridico vedrebbe molto probabilmente, per il principio della non-discriminazione attuato ad esempio in Olanda, il successivo riconoscimento di altri diritti tipici della famiglia, fino al punto di provocare di fatto lo scardinamento a livello sociale e culturale del concetto di famiglia”. “Inoltre – ha aggiunto – in quel caso si avrebbe, sempre sul piano socio-culturale, la perdita di ogni rilevanza circa la mascolinità o femminilità della persona umana. Sarebbe un grave danno alla formazione delle giovani generazioni”. (Fonte: Sir)