Vita Chiesa

Cei: Consiglio permanente, «contribuire attivamente a una cultura dell’integrazione» anche a prezzo della popolarità

«Il restringimento dei filtri d’accoglienza dei richiedenti asilo, la riduzione delle risorse destinate a qualificare i servizi alla persona, lo smarrimento di tanti operatori»: sono questi i principali effetti indotti dalle disposizioni del Decreto Sicurezza (Legge 132/2018), sui cui si sono confrontati i vescovi italiani nel corso dei lavori del Consiglio episcopale permanente (Roma, 1-3 aprile). Attraverso di loro la Chiesa italiana ribadisce «la dignità della persona del migrante; il dovere dell’accoglienza, a cui lo stesso Santo Padre non cessa di richiamare; il servizio generoso sostenuto da tante diocesi, parrocchie, comunità e famiglie».

«Anche a prezzo di un certo tasso di popolarità – si legge nel comunicato finale -, la Chiesa avverte la necessità di contribuire attivamente a una cultura dell’integrazione, oltre che al superamento dell’indifferenza davanti al dramma di quanti scompaiono nel Mediterraneo o sono torturati nei campi profughi della Libia». Nello specifico, «molte diocesi – a fronte della prospettiva delle dimissioni dai Centri di persone titolari di un permesso di soggiorno umanitario, ma nelle condizioni di perderlo – hanno riaffermato la volontà di continuare a ospitarle, facendosene carico e promuovendo iniziative di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e di raccolta fondi».

L’orientamento condiviso dal Consiglio permanente è quello di «rimanere nel sistema istituzionale di accoglienza – a stretto contatto con le Prefetture – integrando i servizi con attività completamente autofinanziate, che permettano un corretto processo di inclusione sociale». Fra le ipotesi in campo c’è quella di riprendere in maniera strutturale il percorso già sperimentato positivamente con il modello «Protetto. Rifugiato a casa mia».

«Alle modalità d’uso del denaro sono legate l’affidabilità della Chiesa e la testimonianza dei valori di fede professati. Di qui l’importanza che sul versante etico ogni investimento finanziario sia fatto in sintonia con i principi evangelici ripresi e approfonditi nei testi del Magistero, dalla Centesimus Annus alla Caritas in veritate alla Laudato si‘». Con questa finalità il Consiglio episcopale permanente, si è confrontato su una bozza di documento, che individua criteri oggettivi di selezione degli investimenti, integrando gli standard internazionali legati alle tre dimensioni della finanza sostenibile e responsabile (ambiente, sociale e buon governo societario) con quelli della Dottrina sociale della Chiesa. Entro la prossima Assemblea generale, i vescovi del Consiglio sono chiamati a far giungere alla Segreteria Generale osservazioni e proposte, che serviranno a rielaborare il testo in vista di una sua approvazione nella sessione autunnale.

Inoltre, si legge nel comunicato finale dei lavori, sarà approvato nel corso del Consiglio permanente di maggio un documento, curato dalla Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute, sulla fase terminale della vita terrena. I vescovi ne hanno condiviso un indice ragionato, dove emerge una Chiesa – la stessa che incarna la pastorale della salute diffusa sul territorio, attenta a farsi carico delle fragilità -che «non si sottrae a vivere la propria missione, offrendo a tutti una riflessione che affronta alcune situazioni umanamente ed eticamente complesse». Rispetto a un presunto «diritto» a morire, «si impegna a sostenere quello a una morte degna, come affermazione della cura dell’uomo verso di sé e verso il prossimo. Di qui, in particolare, il richiamo a non disattendere ulteriormente l’applicazione della legge che assicura le cure palliative. Altro aspetto centrale, l’affermazione del rispetto della libertà di coscienza del medico e di tutto il personale sanitario, al fine di garantire a tutti la possibilità di perseguire azioni eticamente buone».

Finora era un settore dell’Ufficio catechistico nazionale; ora – per assicurare un contributo più unitario, trasversale e continuativo – il Consiglio episcopale permanente l’ha costituito come Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità. L’intento è quello di offrire alla Cei, alle diocesi, agli Istituti di Vita consacrata, alle Società di Vita apostolica, ad associazioni e movimenti un supporto per l’inclusione nella vita ecclesiale delle persone con disabilità – intese come soggetti a pieno titolo della pastorale – e dei loro familiari. Il Servizio diverrà pienamente operativo dopo la definizione del Regolamento.