Vita Chiesa

CEI, CARD. RUINI: «PERCHÉ NON SI PUÒ RICONOSCERE SOCIALMENTE L’UNIONE OMOSESSUALE»; NO ALL’EUTANASIA

A proposito del dibattito sulle “unioni di fatto”, il card. Camillo Ruini, nella sua prolusione ai lavori del Consiglio permanente della Cei, ha ricordato quanto afferma la Nota dottrinale della Congregazione per la dottrina della Fede del 24 novembre 2002, secondo la quale “alla famiglia fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso non possono essere equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali riconoscimento legale”. “Da noi infatti – ha poi aggiunto – la famiglia svolge un grandissimo ruolo sociale e dà un contributo particolarmente elevato all’educazione dei figli. Al contempo siamo da molti anni alle prese con una gravissima crisi della natalità, che minaccia il futuro del nostro Paese”. “Preoccupazioni comuni e primarie dei responsabili della cosa pubblica dovrebbero essere quindi – secondo Ruini – il sostegno della famiglia legittima fondata sul matrimonio… e la rimozione di tutti quegli ostacoli di ordine pratico (a proposito dell’alloggio, del lavoro giovanile e della sua stabilità, delle strutture di accoglienza per i bambini più piccoli…), o anche giuridico e fiscale, che dissuadono le giovani coppie dal contrarre matrimonio e dal generare dei figli, senza per questo forzare in alcun modo la libertà delle scelte personali di ciascuno”.

Analizzando “in concreto la realtà delle unioni di fatto”, il card. Ruini ha poi affermato che “quelle tra persone di sesso diverso sono certamente in aumento, sebbene restino a livelli assai più contenuti che in altri Paesi, ma la grande maggioranza di loro vive nella previsione di un futuro possibile matrimonio, oppure preferisce restare in una posizione di anonimato e di assenza di vincoli”. Per quanto riguarda “le assai meno numerose coppie omosessuali – ha quindi notato – in buona parte vogliono a loro volta rimanere un fatto esclusivamente privato e riservato; altre invece sembrano costituire il principale motore della pressione per il riconoscimento legale delle unioni di fatto, con cui intenderebbero aprire, se possibile, anche la strada per il matrimonio”. A questo punto, il presidente dei vescovi italiani ha detto che “nel pieno e doveroso rispetto per la dignità e i diritti di ogni persona, va però osservato che una simile rivendicazione contrasta con fondamentali dati antropologici e in particolare con la non esistenza del bene della generazione dei figli, che è la ragione specifica del riconoscimento sociale del matrimonio”.

Passando poi a trattare dell’eutanasia, il presidente della Cei ha ricordato che “è legittimo rifiutare l’accanimento terapeutico, cioè il ricorso a procedure mediche straordinarie che risultino troppo onerose o pericolose per il paziente e sproporzionate rispetto ai risultati attesi. La rinuncia all’accanimento terapeutico non può giungere però al punto di legittimare forme più o meno mascherate di eutanasia e in particolare quell’abbandono terapeutico che priva il paziente del necessario sostegno vitale”.

Ruini ha citato a questo punto il caso Welby, affermando che “la sofferta decisione di non concederlo (il funerale religioso, ndr) nasce dal fatto che il defunto, fino alla fine, ha perseverato lucidamente e consapevolmente nella volontà di porre termine alla propria vita: in quelle condizioni una decisione diversa sarebbe stata infatti per la Chiesa impossibile e contraddittoria, perché avrebbe legittimato un atteggiamento contrario alla legge di Dio”. Dopo alcuni riferimenti alla situazione internazionale, il presidente della Cei ha ricordato don Andrea Santoro, don Bruno Baldacci e suor Leonella Sgorbati, i tre italiani dei 24 martiri che nell’anno 2006 “hanno versato il loro sangue in terra di missione”. Sir

Prolusione card. Ruini al Consiglio permanente Cei (22 gennaio 2007)