Italia

Cei, card. Bagnasco: no all’individualismo, recuperare la cultura dell’incontro

Richiamando l’incontro in San Pietro durante l’assemblea di maggio, quando Papa Francesco ha abbracciato con grande affetto uno a uno i quasi trecento vescovi presenti, il cardinale ha voluto ricordare subito in apertura della prolusione le «indicazioni» che la Chiesa italiana ha avuto dallo stesso pontefice in quel momento così significativo. Tali indicazioni – ha detto il cardinale – riguardano in particolare il «dialogo con le istituzioni culturali, sociali e politiche che il Papa ha confermato essere compito di noi Vescovi; poi, di come rendere forti le Conferenze Episcopali Regionali perché siano voci delle diverse realtà; e infine del numero delle Diocesi italiane, tema sul quale ha lavorato un’apposita Commissione episcopale, su richiesta della competente Congregazione per i Vescovi».

C’è un «virus» che si è diffuso nel «suolo umano», che lo sta impoverendo e svuotando di relazioni: questo virus è l’ «individualismo», «una radice avvelenata che non sempre è presa nella debita considerazione». Di questa malattia che si diffonde nella nostra società si è poi occupato ampiamente il card. Bagnasco, proseguendo nella lettura della prolusione. L’immagine del «virus» usata è molto forte e illustra la condizione dell’uomo contemporaneo, che «finisce per diventare ‘di sabbia’, una figura fluida con una pesante sensazione di stanchezza. E’ schiacciato dall’urgenza di farsi da sé in una competizione continua e lo Stato, sul piano giuridico, si trasforma in una sorta di nobile notaio dei desideri, delle istanze e forse delle pretese dei singoli». L’allarme del presidente dei vescovi italiani è per una condizione umana segnata, come ha sottolineato, da «una prospettiva autoreferenziale, insofferente ai legami», che «porta con sé un carico di violenza che anche i drammatici fatti di cronaca, sempre più numerosi, testimoniano a partire dalla violenza sulle donne. Ci sembra che l’opinione pubblica abbia cominciato una specie di rimonta su questo versante culturale, riscontrando gli esiti catastrofici sul piano sociale, economico e politico».

La società italiana, alle prese con una crisi economica che non si attenua, è chiamata – secondo il card. Bagnasco – a uno sforzo speciale per tornare a una «civile e serena convivenza». Occorre recuperare «la cultura dell’incontro e dei legami» che un tempo «era il tessuto della vita e rendeva solida ed affidabile la società intera». Il presidente dei vescovi ha collegato questa solidità al ruolo svolto dal «microcosmo della famiglia», senza il quale «è impossibile vivere il macrocosmo della società e del mondo». Del resto, la gravità della situazione – ha proseguito – è sotto gli occhi di tutti: «Non ci si può illudere che tutto sia nuovamente a portata di mano come prima: grande impegno viene profuso dai responsabili della cosa pubblica, ma i proclamati segnali di ripresa non sembrano dare, finora, frutti concreti sul piano dell’occupazione che è il primo, urgentissimo obiettivo. Ogni passo è benvenuto, ma l’ora esige una sempre più intensa e stabile concentrazione di energie, di collaborazioni, di sforzi congiunti senza distrazioni, notte e giorno. Ogni atto irresponsabile – da qualunque parte provenga – passerà al giudizio della storia», ha poi ribadito, alludendo alla delicata situazione politica e ai rischi di instabilità degli ultimi tempi.

Dopo aver ricordato l’impressionante percentuale del 37,3% dei giovani disoccupati, «costretti a farsi emigranti, impoverendo giocoforza il Paese di giovinezza e di competenze», il cardinale ha richiamato le parole del Papa a Cagliari, quando ha affermato: «Dove non c’è lavoro, manca la dignità». Di fronte alla disoccupazione così diffusa e pesante, ha poi lanciato un messaggio: «Da Pastori, non abbiamo ricette di ordine tecnico: ma sappiamo che la macchina del Paese ha un cuore e un motore. Ed è nostra ferma convinzione che sia la famiglia», «fondata sul matrimonio di un uomo e una donna, grembo della vita, cellula sorgiva di relazioni, primordiale scuola di umanità». Per il card. Bagnasco, quindi, un impegno speciale deve essere posto proprio al suo sostegno, a partire dal riconoscimento del «fattore famiglia» quale strumento fiscale di «restituzione di quanto la famiglia ‘produce’ in termini di benessere generale». «Il patrimonio umano, che è la famiglia naturale – ha aggiunto – è un bene insostituibile e incomparabile che deve essere custodito, culturalmente valorizzato e politicamente sostenuto», motivando «il coinvolgimento giuridico dello Stato» che riconosce con ciò come «in ogni famiglia è in causa il bene comune sul duplice versante della continuità e della tenuta del tessuto sociale».

Circa la nozione di famiglia, a fronte di tentativi di legalizzare i matrimoni omosessuali, il cardinale ha poi richiamato le parole del Papa, laddove ha affermato che «l’essenza dell’essere umano tende all’unione di un uomo e una donna come reciproca realizzazione, attenzione e cura, e come il naturale cammino per la procreazione. Ciò conferisce al matrimonio rilevanza sociale e carattere pubblico. Il matrimonio precede lo Stato, è la base della famiglia, cellula della società, anteriore ad ogni legislazione e anteriore alla stessa Chiesa». Pertanto, ha proseguito, «il matrimonio (costituito da un maschio e una femmina) non è la stessa cosa dell’unione di due persone dello stesso sesso» e pertanto «distinguere non vuol dire discriminare». Allargando lo sguardo al dibattito in corso sull’omofobia, il card. Bagnasco ha poi aggiunto: «Nessuno, ad esempio, discute il crimine e l’odiosità della violenza contro la persona, qualunque ne sia il motivo: tale decisa e codificata condanna – coniugata con una costante azione educativa – dovrebbe essere sufficiente in una società civile. In ogni caso – ha affermato – nessuno dovrebbe discriminare, né tanto meno incriminare in alcun modo, chi sostenga ad esempio che la famiglia è solo quella tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio, o che la dimensione sessuata è un fatto di natura e non di cultura»

Quanto al tema dei giovani e dell’annuncio missionario, il presidente dei vescovi ha sottolineato come proprio dalla Gmg di Rio sia stato possibile cogliere la «vicinanza» dei giovani di tutto il mondo «ai loro Pastori»: «lo sono con simpatia – ha notato – anzi con affetto», «hanno fiducia e vedono nella Chiesa la loro famiglia». Da qui la ricambiata fiducia con la quale l’annuncio del Vangelo possa essere portato alle «periferie», perché «il discepolo missionario è un ‘decentrato: il centro è Gesù Cristo che convoca e invia». Da questi pensieri il cardinale ha poi fatto anche riferimento allo sprone ai «pastori» perché rivadano «al cuore della vocazione che ci chiede una forte coerenza, e alla nostra missione di aiutare le anime a scoprire l’amore misericordioso di Dio apparso sulla croce di Cristo». La presenza dei presbiteri e religiosi, quindi, a partire da parrocchie, associazioni, movimenti e nuove comunità, per «stare» coi giovani e con tutti coloro che credono, sapendo che «la prima forma di apostolato giovanile, dopo la preghiera e la testimonianza, è esserci, è stare con voi giovani».

Nella parte della prolusione dedicata allo scenario internazionale, il card. Bagnasco ha sottolineato «le aperte e continue forme di discriminazione e di intolleranza», specialmente «contro i cristiani» che si vanno intensificando in questi ultimi tempi. Dopo aver espresso solidarietà e impegno di preghiera per «i molti fratelli e sorelle perseguitati», ha richiamato le sofferenza della Siria, con le migliaia di vittime e i due milioni di profughi, insieme al perdurante stato di tensione un po’ in tutto il Medio Oriente. «Che il Signore doni saggezza ai responsabili delle Nazioni – ha aggiunto -, sapendo che la guerra non produce la pace, ma genera violenza, odio, vendetta. Non possiamo dimenticare la recente visita del Papa a Lampedusa, meta di disperazione e di speranza per molti. Essa ha riproposto la logica delle beatitudini e del giudizio davanti a Dio – ‘ero straniero e mi avete accolto’ (Mt 25,35) – e ripresenta alla coscienza europea un dramma che nessuno Stato membro può eludere: Lampedusa – e in genere l’Italia – è la porta dell’Europa, cioè la porta di casa. Ma, altresì, – ha detto il cardinale – il Papa ha sollecitato le Nazioni più ricche a riconsiderare le ferite di molti popoli senza girare lo sguardo dall’altra parte, come accadde nella parabola del samaritano».

Sempre a proposito della Gmg e del sorprendente numero di giovani (3 milioni) che da tutto il mondo si sono stretti attorno a Papa Francesco sulla spiaggia di Rio de Janeiro, il cardinale ha poi definito tale raduno «popolo di giovani». «Parlo di popolo, non di moltitudine, – ha precisato – perché un popolo si forma e vive attorno a qualcosa di grande, qualcosa che è invisibile ma che è più reale e forte di ciò che si vede. È la potenza e il fascino dello spirito. Questo «qualcosa» in loro era un desiderio diventato speranza: il desiderio di incontrare Gesù». Più avanti ha aggiunto che «questo popolo giovane ancora una volta ha testimoniato che i giovani nella Chiesa ci sono, che Dio è presente nel mondo, che l’umanità ne sente il bisogno, che «la Chiesa accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente». E quindi il cardinale ha descritto «la forte emozione, il brivido che ha attraversato quel popolo nell’avvicinarsi del Santo Padre al raduno delle Nazioni», che «non era lo stesso che si prova davanti ad un personaggio della terra, ma qualcosa di diverso. Nasceva dall’intuizione di essere davanti al Successore di Pietro, al Vicario di Cristo come gli altoparlanti scandivano. Si vedeva un fiume di gente che desiderava semplicemente di ‘esserci’, perché sapevano che, comunque, sarebbe accaduto un incontro». E così si è visto che «i giovani sono vicini ai loro Pastori».